Volontariato

Silvio, lega la Lega. Le accuse di Bruno Tabacci

Maggioranza, resa dei conti sull’immigrazione. Il più battagliero esponente dell’ala centrista annuncia battaglia sulla questione stranieri e sulle fondazioni.

di Ettore Colombo

Bruno Tabacci ha 56 anni, è un lombardo doc, mantovano per la precisione, e presiede la X commissione della Camera, Attività produttive. Un moderato, Tabacci. Di quelli calmi, seri. Freddi, anche. Tignosi, quando serve. Che lavorano sulle questioni e amano poco le luci della ribalta. Un dalemiano di centro, lo si potrebbe definire, se non ci fossero già. I dalemiani, s?intende. La storia di Bruno Tabacci (oggi Udc) è anche quella di un ex diccì diverso dal genere ?panza, baci e abbracci?. Presidente della Regione Lombardia negli anni 80, poi parlamentare. «La scure di Tangentopoli», ha scritto il suo collega di partito e oggi ministro, Carlo Giovanardi in un bel libro, Storie di ordinaria ingiustizia, «è calata anche su di lui. Lottò a lungo per tutelare il suo onore». E vinse. Oggi Tabacci ne sta conducendo altre, di battaglie, e su questioni dirimenti, all?interno della maggioranza di governo, per capire se la Casa delle Libertà le difende davvero, le libertà. Quelle degli immigrati a vedere riconosciuti i loro diritti, ad avere la ?giusta mercede? e trattamenti rispettosi della loro dignità, ad esempio. Quella in difesa dell?autonomia delle fondazioni private. Quelle che cercano di restituire al dialogo tra le parti sociali lo scontro ?ideologico? sull?articolo 18. Vita: Onorevole, cosa dicono questi risultati al suo partito? Bruno Tabacci: L?Udc ha avuto un buon consenso elettorale, e anche il dato del Nord è incoraggiante. Di solito si pensa all?Udc come a una forza radicata soprattutto nel Sud del Paese, dove sfondiamo, ma andiamo bene anche al Nord: a Parma, ad esempio, siamo stati decisivi nella vittoria di Elvio Ubaldi. La nostra è una formazione politica che intercetta aspettative importanti e ben radicate nella società. Vita: I leghisti, però, tengono bene le posizioni? Tabacci: Non mi sembra. Certo, c?è il buon risultato della Lega a Treviso, dove si presentava da sola, ma, appunto, in quanto priva della capacità di dare vita ad alleanze organiche con tutto il centrodestra. In molte altre realtà la Lega arretra o, se regge rispetto al risultato delle politiche dell?anno scorso, perde rovinosamente anche metà o più del proprio elettorato se si vedono i dati di 4 anni fa. Resta un problema politico, piuttosto. Quello di rispettarsi come alleati e di accettare le diversità. Vita: Di sicuro non accade su temi caldi come quello dell?immigrazione. Lei ha ripresentato un emendamento, ormai noto ai più come ?emendamento Tabacci?, che chiede una sanatoria per gli extracomunitari irregolari. Suscitando il plauso dell?Ulivo. Meno, molto meno, quello del Polo? Tabacci: Guardi, la mia proposta ha ottenuto consensi più che tra le forze politiche, tra le forze produttive, sane e reali del Paese, dalla Cisl di Savino Pezzotta alla Confindustria veneta e lombarda, dalla Cna alla Confartigianato, le due principali organizzazioni artigiane. Si tratta di una proposta ragionevole che chiede di regolarizzare le posizioni degli immigrati che già lavorano in Italia per due ordini di motivi: uno di civiltà, affinché venga rispettata la loro dignità di uomini e cittadini, e uno concreto, che riguarda le attività produttive che essi svolgono. La Lega ne fa una questione ideologica, Fini sostiene che «gli accordi erano altri». Ma il Parlamento a cosa serve? A esaminare le leggi e, dopo approfondita e attenta lettura, a cambiarle, se lo si ritiene opportuno. Vogliono bocciare il mio emendamento in modifica all?articolo 29 della Bossi-Fini? Lo ripresenterò come collegato alla legge, l?importante è che passi. Il problema della regolarizzazione dei clandestini c?è o non c?è. Se c?è, come credo, va risolto. Il resto è ideologia. Io guardo alla concretezza. E ai principi del diritto. Vita: Lei si è opposto anche alla legge Tremonti sulle fondazioni, tema caro al Terzo settore. Tabacci: Il problema non è di contrastare la legge Tremonti in quanto tale, ma di stoppare questa scelta di totale e inaccettabile autoreferenzialità voluta dalle grandi banche, con l?avallo della politica: è dall?86 che il sistema bancario non viene rinnovato. Era ora. Il problema sono modi, vincoli e limiti. L?idea di attribuire il 75% delle nomine agli enti locali e le briciole agli altri enti, non profit in testa. Tremonti, anche in questo caso, è condizionato dalla Lega e dalla sua malsana idea di federalismo, che non è altro che brama di potere. Uno Stato che cede tutti i suoi poteri alle Regioni non mi piace. Vita: Insomma, i rapporti con la Lega sono cattivi, niente da fare. E quelli con An e Forza Italia? Tabacci: A Berlusconi dico che occuparsi troppo della politica estera e poco di quella interna mi sembra un atteggiamento provinciale all?incontrario: il nostro presidente del Consiglio deve occuparsi dell?Italia, prima di tutto, ma certo è che la collocazione strategica di Fi è quella giusta: il Ppe. Bossi umanamente mi è simpatico, ma la Lega è sempre più una forza politica residuale. Fini ha fatto compiere ad An un?evoluzione storica. Da Fi ci separa la diversa concezione della democrazia interna: noi non siamo il partito di uno solo, ma di tutti. In questo, siamo davvero gli eredi della Dc.


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