Welfare
Silvia e i suoi “utenti”
Ventotto anni, fiera del suo lavoro di educatrice professionale in una cooperativa sociale, Silvia Simoncini, Sissa per gli amici, è morta lunedì scorso a Firenze. Nel centro diurno semi-residenziale L'Albero Vivo dell'Usl Toscana Centro si dedicava con grande passione alle persone con disabilità. Molte di loro erano alle esequie, nell'affollatissima Basilica di Santa Maria Novella. Il grande impegno nell'Associazione nazionale educatori professionali - Anep. Una vita dentro la fede cristiana
In una lettera che aveva scritto al padre, quando aveva scoperto l’aggravarsi della sua malattia, Silvia Simoncini, 28 anni, educatrice professionale socio-sanitaria nella cooperativa sociale Elleuno di Firenze, morta lunedì scorso, aveva espresso la sua preoccupazione per la sofferenza che la sua scomparsa avrebbe potuto arrecare agli utenti del centro diurno riabilitativo L’Albero vivo dell’Azienda Usl Toscana Centro, per cui lavorava. Persone con gravi disabilità neuropsichiche che, una volta uscite dal percorso scolastico, hanno bisogno di un sostegno socio-educativo. I «miei utenti», li chiama nella lettera, ma l’espressione era tutt’altro che formale. Tant’è vero che nella Basilica di Santa Maria Novella a Firenze, dove mercoledì 1° marzo si sono svolte le esequie, c’erano anche alcuni di loro, accompagnati da altri educatori o dai famigliari. Anche loro mescolati alla folla enorme che ha riempito l’antica chiesa.
Alcuni avevano composto, coi colleghi di Silvia, con gli operatori de L’Albero vivo, un biglietto struggente, dipinto con le dita su un foglio, al cui centro, stava questa frase: «Non hai esitato a tenderci la mano. Ora lo facciamo con te. Ciao Silvia».
Silvia era un’educatrice professionale socio-sanitaria. Fiera di esserlo. Un suo video, in cui racconta la sua malattia, comincia così: «Sono Silvia, per gli amici Sissa. Sono un’educatrice professionale e pedagogista clinica». E scorrendo la sua bacheca Facebook si trovano molti post dell’Associazione nazionale educatori professionali – Anep, di cui era socia e di cui condivideva campagne di sensibilizzazione, mobilitazioni, articoli a tema, fra cui uno di VITA: un’intervista a Claudia Fiaschi, allora portavoce del Forum del Terzo settore, che rilanciava l’allarme per quell’esercito di operatori sociali rimasti senza garanzie nel pieno della pandemia.
Una passione che aveva condotto Silvia a impegnarsi nell'associazione professionale fin da studentessa, diventando presidente della sezione Toscana, frequentando tutte le occasioni di incontro e confronto della comunità degli educatori. Eletta al consiglio direttivo nazionale , si era impegnata come rappresentante degli educatori professionali nella commissione di Albo dell'Ordine delle professioni sanitarie dell’area tecnica della riabilitazione e della prevenzione – Pstrp, interprovinciale Firenze Arezzo prato Pistoia Lucca Massa Carrara.
E siccome era un animo generoso – Silvia era fiorentinissima ma nei suoi cromosomi c’era l’Abruzzo, da cui provenivano entrambi i genitori, Andrea e Carla, arrivati da Giulianova (Te) per frequentare l’università e l’accademia delle Belle arti – e siccome, dicevo, Silvia aveva nel cuore la generosità e la testardaggine della gente adriatica, poco dopo aver conosciuto la diagnosi della sua malattia s’era buttata anima e corpo a fare la volontaria nella sezione toscana dell’Associazione contro il tumore ovarico – Acto, diventandone presidente.
Raccontava, nel video già citato, di quel carcinoma che ha solitamente il 3% di possibilità di essere maligno, osservando che «il fatto d’essere rientrata in una percentuale così piccola, penso sia la prova che sono una persona un po’ speciale», diceva sorridendo. Per poi proseguire: «Ho accettato con entusiasmo la sfida di diventare presidente di Acto Toscana, in modo da mettere a disposizione di altre donne speciali come me, la mia esperienza. In modo di non farle sentire sole in questo lungo cammino».
Il cammino di Silvia non è stato purtroppo lungo quanto tutti gli amici si auguravano. E quanto lei stessa sperava, visto che, un anno e mezzo fa, aveva deciso di sposarsi con Matteo, coetaneo, capelli ribelli, dottorando in Diritto dell'Unione europea. Quando all’Istituto europeo di oncologia – Ieo di Milano, dove Silvia era in cura, avevano intravisto un decorso positivo, i due non avevano messo tempo in mezzo convolando a nozze e già si immaginavano babbo e mamma affidatari di tanti bambini. «La coscienza con cui vi siete sposati fa possibile vivere questo momento aldilà delle apparenze», ha detto ieri dall’altare padre Ignacio Carbajosa, il sacerdote che li aveva sposati proprio in quella maestosa basilica e che ha appunto celebrato il funerale.
Già, il funerale.
Quelle esequie così partecipate, che hanno registrato non disperazione, non scandalo, non maledizione, ma dolore composto e consapevole, a cominciare proprio dal marito e dai familiari di Silvia, hanno riassunto le ragioni stesse della sua vita così appassionata, di un impegno professionale e sociale anche nella malattia, di un amore cioè alle circostanze tutte: la professione, la scientificità della pratica riabilitativa dell’educazione professionale, la cura dei «suoi utenti».
Silvia infatti era cristiana – cresciuta in Comunione e liberazione – e cristiana è stata fino all’ultimo palpito di vita. In una lettera scritta al padre, poco dopo aver avuto notizia dell’aggravarsi ineluttabile delle sue condizioni, lettera che è stata in pratica il suo testamento spirituale, Silvia scriveva: « (…) la cosa che mi fa più dolore è pensare che potrei far star male qualcuno se un giorno non dovessi più esserci e quindi mi domandavo se aver dato e ricevuto tutto questo amore non fosse una fregatura. Penso a Tommy e a tutti i miei fratelli, a te e alla mamma, a Matte, ai miei utenti, agli amici. E invece non è una fregatura, perché quell’amore ci ha segnato e resterà per sempre e spero e prego che sia più forte del dolore. Gesù mi ha usato come suo strumento per dare amore quindi devo continuare ad affidarmi a lui e permettergli di fare quello che ha in mente per me. Quindi ovviamente non smetto di combattere, però volevo dirti che sono anche serena nel caso, a un certo punto, non ci sarà più la possibilità di farlo».
Silvia, cristiana, educatrice professionale. Sissa per gli amici.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.