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Silvestri (AVSI): “Coraggio facciamo un altro passo per la cooperazione italiana allo sviluppo”

A meno di tre anni dall’adozione della riforma sulla cooperazione allo sviluppo, il Segretario generale dell’AVSI, Giampaolo Silvestri, condivide con i lettori di Vita.it il suo sguardo sull’implementazione della Legge 125 e dei suoi suoi strumenti, tra cui l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS). “Nonostante gli ostacoli, anche burocratici, la macchina della cooperazione non si è mai fermata, e non era scontato”.

di Giampaolo Silvestri

Questa stagione “strana” di assestamenti e smottamenti in Italia e in Europa, sta investendo anche il mondo della cooperazione italiana, entusiasmando qualcuno e spaventando altri. Ma l'adagio “Si stava meglio prima" non è leale. E non possiamo lasciare che prenda piede una nostalgia miope.

La legge 125/2014 ha introdotto delle novità importanti nel settore della cooperazione che non era più in grado di stare al passo con i tempi e i nuovi trend internazionali, fra le altre la costituzione dell'Agenzia, il coinvolgimento del settore privato come soggetto della cooperazione, la Cassa depositi e prestiti e il suo ruolo di banca per lo sviluppo, la costituzione del Consiglio Nazionale della Cooperazione allo Sviluppo.

Ma chi conosce il fango che blocca le strade nella stagione delle piogge di Congo o Burundi, sa che la condizione prima di qualsiasi piano e verifica è il realismo: questa legge non si è materializzata in un vuoto pneumatico, ma in un contesto preciso, l'Italia con tutti i suoi asset e le sue fatiche. Una di queste è il pedante sistema burocratico-amministrativo che rallenta il dinamismo al quale la legge ambirebbe, e non aiuta certo a sciogliere le resistenze che sempre un cambiamento suscita nelle persone, che temono di perdere posizioni acquisite e vecchie certezze. Ma una nuova governance implica un cambiamento delle procedure, anche del modo di concepire e vivere la cooperazione. Quindi qualcuno deve rinunciare a qualcosa in vista di un guadagno ancora non misurabile.

Chi conosce il fango che blocca le strade nella stagione delle piogge di Congo o Burundi, sa che la condizione prima di qualsiasi piano e verifica è il realismo: questa legge non si è materializzata in un vuoto pneumatico, ma in un contesto preciso, l'Italia con tutti i suoi asset e le sue fatiche.

Una macchina che non si è mai fermata

Nonostante questo va rilevato come in questi mesi di transizione la macchina della cooperazione italiana non si sia mai fermata, e non era scontato. Non solo, si sono già sperimentati alcuni aspetti positivi. Si è creato un principio di community, osando una parola forte: un luogo di confronto tra istituzioni, diversi ministeri ed espressioni della società civile, come si propongono i gruppi di lavoro del Consiglio nazionale.

Va anche rilevato un timido nuovo impegno politico, come dimostra l'aumento dei fondi destinati all'aiuto pubblico allo sviluppo in generale. Anche se certo vengono contabilizzate le spese per la gestione dei migranti in Italia, emerge una maggiore consapevolezza politica dell'importanza della cooperazione dello sviluppo.

Non si può inoltre ridurre il ruolo giocato dall'Agenzia avviata nel gennaio 2016. Basti pensare alla gestione dei programmi di emergenza che, grazie a nuove procedure, ha richiesto un minor ricorso al multilaterale (cioè meno fondi direttamente alle agenzie delle Nazioni Unite) e un maggior coinvolgimento delle ONG attraverso bandi ad hoc.

Anche l'imminente bando per le imprese – novità assoluta – e quello per gli enti territoriali, comuni e regioni, cambiano in meglio il modo di agire, favorendo la trasparenza di assegnazioni e condizioni e riducendo la discrezionalità. Accanto a questo va considerato anche un nuovo protagonismo della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo nella cooperazione delegata dell'UE in particolare in alcuni Paesi dell'Africa.

Non si può inoltre ridurre il ruolo giocato dall'Agenzia avviata nel gennaio 2016. Basti pensare alla gestione dei programmi di emergenza che, grazie a nuove procedure, ha richiesto un minor ricorso al multilaterale e un maggior coinvolgimento delle ONG attraverso bandi ad hoc.

Fare un altro passo per superare gli ostacoli

Tutto perfetto dunque? No, certo, altrettanti aspetti vanno resi effettivi e migliorati con il concorso di tutti. La Cassa Depositi e Prestiti merita un'attenzione maggiore: è chiamata infatti a segnare il passo con dei casi pilota, per i quali si promuova un'integrazione dei suoi fondi con con quelli dell'agenzia destinati alle imprese. Il Comitato Interministeriale per la Cooperazione allo sviluppo, presieduto dal Presidente del Consiglio, cioè il livello politico di indirizzo, dovrebbe essere convocato più di frequente per assicurare continuità e un'anima al lavoro comune. Così come la relazione con l'UE va rafforzata: il nostro Paese non può permettersi di trascurare l'interlocuzione con il primo donatore pubblico del mondo.

Se ci sono procedure, strutture e gerarchie nuove, adesso però servono anche uomini nuovi: serve aggiustare la questione delle assunzioni di nuovo personale per l'Agenzia. Un po' come per otri nuovi serve vino nuovo. Bisogna trovare il modo perché la rigidità di certi schemi amministrativi non l'abbia vinta sulla necessità dell'Agenzia di contare su nuove risorse umane che le permettano di marciare spedita.

Alla fine sempre lì si va a parare: non esistono sistemi, neanche i più perfetti, che possano fare a meno di uomini e donne. Coraggio, facciamo un altro passo.

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