Economia

«Signora, di cosa ha bisogno?» Imerio racconta la “sua” banca

I ricordi del presidente della Cassa Rurale di Brentonico

di Redazione

Rimasto orfano all’età di 15 anni, ha visto la vita della sua famiglia risollevarsi grazie a un prestito. Da allora l’istituto è stato un punto
di riferimento importante della sua vita. Sino all’arrivo al vertice«Siòra, come vàla? De cossa gàla besògn?». Queste parole stanno fra un orfano di 15 anni e il suo presente (ora è presidente della Cassa Rurale a Brentonico, quell’isola civilissima di campi, case, prati, persone, lavoro sospesa fra la Vallagarina e il Monte Baldo). «Di cosa ha bisogno signora?»? Era il 1977 ed a Imerio Lorenzini, che oggi è un uomo grande e grosso, per un attimo si inumidiscono gli occhi nel pensare a quel giorno. Ha appena tolto dalla carta d’impacco due dipinti bellissimi di pittori trentini, un lago di Garda di Bonazza e un Iras Baldessari essenziale («se non li comperiamo noi della Cassa Rurale, ce li scippano gli altri, questi quadri che sono un capitale del nostro territorio, e finiscono fuori dal Trentino») e non racconta volentieri la sua infanzia. Ma neppure lui può esorcizzare quel passaggio decisivo della sua vita, il momento per cui oggi è alla Cassa Rurale.
Imerio, 15enne, era rimasto orfano, con un fratello di 12 e la mamma Bruna. «Il papà aveva sofferto la guerra», ricorda, «lavorava tanto, fumava tanto, ma insomma, nessuno pensa di morire a 45 anni. Aveva un bar a Saccone, 150 abitanti, e non si diventava certo ricchi, ma dava da vivere, lo teneva la mamma mentre lui si dava da fare col legname». La morte fu improvvisa. «La mamma non aveva neppure i soldi per il funerale».

Signora non si preoccupi
Era il 1977 e una famiglia stava crollando a Saccone di Brentonico. La mamma avrebbe dovuto cedere la conduzione del bar, il figlio interrompere la scuola di geometra, l’altro figlio mettersi sotto padrone. «Invece qualche tempo dopo il funerale, vennero queste persone che non conoscevamo. Erano della Cassa Rurale di cui papà era socio. Venne il presidente Giacinto Schelfi, il direttore e alcuni consiglieri, di loro iniziativa. Nessuno li aveva cercati». «Come vàla, siòra?»
Come volete che vada, bene, male, ci si rassegna insomma. «Ma di qualcosa avrà bisogno, signora». Le spese erano tante, i debiti erano pure. «Sì certo, era così giovane, avevamo i mutui, forse un milione». Era tanto un milione di lire, allora. I visitatori diventarono seri: «Un milione non basta di certo, signora, gliene occorreranno almeno tre, ce li restituirà, non si preoccupi».
Imerio ricorda quel giorno e quel «non si preoccupi». Una frase non di maniera. Diceva che tutta una comunità si stringeva attorno a quella famiglia: «Arrivarono tre milioni, il bar potè essere salvato, io potei finire i geometri, mio fratello terminò le medie, poi andò a lavorare, diventando un bravissimo artigiano».
Imerio Lorenzini si alza e va alla finestra. Storie così non si possono raccontare in un ufficio di presidente, ma alla finestra di un paese che vive la sua estate, o in una camera che dà sulla bellissima balconata interna della Cassa Rurale di Brentonico, un piccolo teatro di vita – i dirigenti, affacciandosi, vedono i clienti, gli uomini del paese, i turisti, le donne immigrate con il fazzoletto in testa e il bambino nella carrozzina, che proprio in banca si sentono più protette e sicure che sulla strada. Anche questo dare protezione psicologica è essere Cassa Rurale.
Guarda fuori dalla finestra, si capisce che cerca, pur senza vederlo l’Altissimo, la sua montagna. Dal suo ufficio di Saccone l’Altissimo lo vede, da qui no, ma è lo stesso. C’è.
«Insomma», continua, «la mamma non dimenticò più quel giorno. “Ricordatevi”, diceva, “quando eravamo nel bisogno loro ci hanno aiutato. Ci hanno trattato non da clienti indebitati, ma da persone. Ci hanno permesso di superare le difficoltà”. È stato il passaggio decisivo della mia vita». Se ne è ricordato, Imerio Lorenzini, quando da giovane affrontava le prime dimensioni del paese, come assessore alla Cultura, o durante il suo tirocinio nel collegio sindacale della Cassa Rurale: «Partecipavo alle assemblee con uno spirito particolare. Io il motivo lo sapevo, avevo visto cosa si provava a perdere tutto. Quando ho iniziato a “muovermi”, e c’era anche Diego Schelfi (attuale presidente della Cooperazione Trentina), di credito, di controlli, sapevo poco o nulla. Ma sapevo tanto sulle persone. Studiai. Se c’è una base umana è più facile costruirsi competenze tecniche».

Signor presidente
Concluso quel periodo Lorenzini pensava che il suo tragitto nella “Rurale” fosse finito. Invece gli fu chiesto di assumere la presidenza: «Non volevo, ma dissi “sì” ricordando le parole della mamma, quasi per saldare un debito nei confronti di chi ci aveva permesso di salvare la famiglia. Ora toccava a me».
«In una Cassa Rurale gli utili sono indivisibili. Costituiscono il patrimonio complessivo dei soci, della comunità, insieme al territorio, alla memoria, alla cultura, alla tipologia edilizia», spiega ancora. E il reddito non è l’unica unità di misura. Occorre essere rigorosi nei conti, ma l’obiettivo è rafforzare lo spirito di comunità attraverso il rafforzamento del capitale-territorio. E la Cassa deve farsi promotrice di questa cultura. «La valorizzazione del territorio deve procedere con la valorizzazione del lavoro, delle persone. Una Rurale deve conoscere il “suo” territorio, capirlo, deve farsi motore di crescita, umana prima di tutto, perché la crescita economica nasce solo da una motivazione umana. Le Rurali se diventano banche come tutte le altre perdono la loro forza».
Riflessioni nate 31 anni fa, dentro l’esperienza di un ragazzo, quando alla sua mamma chiesero: «Di cosa ha bisogno?».


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