“Scusa tesoro, non indossare vestiti o gonne sulla carrozzina -mi disse l’ operatrice sanitaria, con fare mellifluamente premuroso – gioia mia, tu non hai il controllo delle tue gambe, non le chiudi bene…e qui è pieno di uomini” Allibita pensai di essere capitata in un convento e non in un centro di riabilitazione. La mia dignità di malata era stata lesa. Io non sono una bambina, un bambolina, una gioietta idiota da guidare secondo regole bacchettone assurde. Sono una malata, ma sono una DONNA e se mi garba, per girare nei corridoi, indosso a piacere, un paio di pantaloni, una gonna o un vestito. Invece il fatto di essere in condizione di disabilità mi rendeva succube di scelte del personale, in parte rude e dotato di malgarbo….impensabile era, ad esempio, farsi aiutare ad indossare dei collant….solo calzettoni asessuati”. La mia personalità era stata chiusa a chiave in uno squallido armadietto.
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