Non profit

Siate delle rompiscatole almeno mezz’ora al giorno

Lorella Zanardo

di Redazione

e dibattiti pubblici, ora la paladina delle neo femministe è diventata un fenomeno anche sul webMamma, perché a Milano nessuna via porta il nome di una donna?». Eleonora, 10 anni, sa di fare la domanda alla persona giusta.
Sua madre, Lorella Zanardo, è l’epifenomeno di una malattia che ha cariato da tempo la vita delle donne, in Italia. E che converge su un termine che si fatica un po’ ad accettare: maschilismo. Sul web, invece, è fenomeno a tutto tondo. Il suo video, Il corpo delle donne (da cui sono nati un blog e un libro omonimo) si è fatto da sé solo grazie al passaparola: quello che, in gergo telematico, si chiama “virale”. Venticinque minuti in cui, senza grandi prefazioni, si sbatte in faccia allo spettatore com’è considerata la donna nel nostro Paese: poco più di un oggetto sessuale, molte curve e poche parole. Ci sono volute 400 ore di girato televisivo – per lo più talk di intrattenimento – per stringere una sintesi video che finora ha registrato tre milioni di click, sul web. Doveva essere un dvd, ma non c’è stato bisogno neppure di un ufficio stampa: camminando sui bit, è stato ripreso da tutti i media. Radio, televisioni e giornali si contendono Lorella, che pare ormai trovarsi a suo agio nelle spire di un dibattito culturale che sembrava sopito.
Com’è nata l’idea del documentario?
Dalla provocazione di un amico, Cesare Cantù, che lavora nel cinema e mi ha detto che io non conoscevo davvero le donne, perché non ne conoscevo l’immagine trasmessa in televisione. Io, che ho vissuto molti anni all’estero (in Spagna, Francia, Inghilterra e perfino Africa) ho acceso un apparecchio fino a quel momento considerato poco più di un elettrodomestico. E ho scoperto una realtà spaventosa: molta chirurgia estetica, riprese quasi pornografiche, possibilità di parlare ridotta allo zero.
E che ha fatto?
Mi sono chiusa tre giorni con Cesare e un altro amico, a visionare i talk show. Poi abbiamo montato questo video.
Non è in fondo un po’ furbo servirsi delle stesse immagini che critica?
Al contrario, si è rivelata una scelta intelligente. Con il linguaggio video abbiamo catturato l’attenzione di chi ci interessava: i ragazzi in età puberale. È nell’adolescenza che il loro sguardo può acquisire consapevolezza. Volevamo aiutarli a sviluppare un’analisi critica, e non passiva, sulle immagini.
Cosa ha generato questa esperienza?
Hanno iniziato a invitarci in tutta l’Italia: Comuni, associazioni, amministrazioni, università e scuole. I presidi organizzano proiezioni del video in Aula magna, poi si procede al dibattito. I ragazzi reagiscono molto bene, anche i maschi. Ci rivolgiamo, in particolare, a chi frequenta le scuole medie superiori. Per i docenti, invece, è nato il progetto “Nuovi occhi per la tv”: è un corso di otto ore, destinato a gruppi di 15 insegnanti, in cui si forniscono gli strumenti per acquisire e trasmettere una critica costruttiva alle immagini televisive. Riceviamo continui inviti, ma purtroppo le scuole debbono arrangiarsi: queste iniziative dovrebbero essere finanziate dal ministero o dai Comuni, ma non ci sono fondi. È un grande risultato, però, aver reso consapevoli così tanti giovani, aver stimolato interrogativi.
Ci sono aree geografiche che rispondono meglio di altre?
Indubbiamente il Centro-Italia: in Umbria, Emilia e Toscana le amministrazioni sono particolarmente attente.
Cosa dovrebbe fare, oggi, una donna per vivere meglio nel nostro Paese?
Occuparsi dei propri diritti. So che costa fatica, ma è l’unica via da percorrere. Le donne italiane lavorano in media due ore in più al giorno, rispetto alle omologhe europee. So che sono molto impegnate nel conciliare lavoro, famiglia e assistenza, ma quelle due ore dovrebbero essere dedicate a questo. Quantomeno, riuscire a rompere le scatole almeno mezz’ora al giorno. I nostri compagni non gradiranno: pazienza, dobbiamo accettare il fatto che possiamo non piacere a qualcuno. Dobbiamo arrabbiarci, anche se temiamo di perdere il consenso.
C’è una donna a cui guarda, che costituisce un riferimento positivo?
Non mi piace fare nomi altisonanti. È importante, invece, scegliersi, nel proprio quotidiano, donne che sia utile imitare, da cui possiamo imparare.
Lei, dopo aver girato il mondo, ora vive a Milano con due bambini: Eleonora, di 10 anni, e Alessandro di 13. Cosa pensano della sua attività?
Sono ancora abbastanza piccoli e ascoltano molto. Non voglio insistere troppo per il momento, ma vorrei che crescessero con le stesse opportunità di un coetaneo che risiede in Norvegia.
Si è sempre occupata del sociale, ha coordinato progetti europei. Perché un suo grande rimpianto è quello di non essere diventata attrice, un mestiere che vive molto di apparenza e corporeità?
È vero, ma il discrimine è l’utilizzo che si fa della propria fisicità. C’è anche un uso virtuoso del corpo, che consente di esprimersi. È quello che faccio durante i miei corsi, che sono dei veri e propri happenings.

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