Viviamo nella retorica quando si parla di lavoro. Un loop infinito che torna ciclicamente, soprattutto quando si parla della festa del lavoro.
Ci sono sicuramente ostacoli concreti su un tema oggettivamente sconfinato ma è soprattutto un problema di percezione in cui la cittadinanza tende a diventare un tratto puramente artificiale della questione. Tra le tante sfide che questo questo periodo storico ci impone c'è quella di vivere il lavoro senza limiti o confini e senza discriminazioni di alcun tipo, ad esempio facendo in modo che il luogo di nascita non determini il destino di un lavoratore.
Per questo motivo la percezione del problema risulta essere fondamentale. Pensiamo a quando parliamo di lavoro e immigrati. Tutti dicono il contrario di tutto ma l'immigrazione è un nemico immaginario.
Gli immigrati NON sono prevalentemente maschi, africani e musulmani e la meta principale dei migranti sicuramente NON è l'Italia. La verità supera la percezione se condivisa in modo misurabile e ogni opinione non è uguale se ci sono studi e dati scientifici a supporto. Una verità è che l'Italia utilizza gli immigrati in diversi settori e segmenti del mercato del lavoro. L'agricoltura è uno dei tanti esempi lampanti ma nell'edilizia e nel mondo delle costruzioni troviamo le stesse richieste ed esigenze.
Il primo maggio ci deve ricordare questi numeri, ricordare che il lavoro deve essere libero, inclusivo, dignitoso e solidale per tutti. Non è una battaglia tra "ultimi" perché non esiste alcuna invasione ma solo diritti da acquisire.
Il problema è che pur comprendendo l'importanza della questione sociale, l'immaginario di alcuni pensa ancora che esistano lavoratori di serie A e lavoratori di serie B e la mancanza di tutele porta a fenomeni degenerati come il caporalato.
Ma partiamo alcuni numeri per capire come la situazione si deve affrontare oggi, non con pensierini e retorica ma con proposte concrete e mobilitazioni continue.
Secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del tavolo nazionale di contrasto al fenomeno del caporalato e dello sfruttamento lavorativo in agricoltura, nel 2018, sono state impiegate in agricoltura più di 870.000 persone. L'82% sono di nazionalità italiana e il 6,5% di altri paesi UE, mentre l'11,4% erano extra-comunitari.
La maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici agricole lavorano prevalentemente in modo stagionale, per un lasso temporale che vanno dalle 101 alle 150 giornate di lavoro l’anno (anche se negli ultimi anni sono in aumento i contratti di durata inferiore).
Grazie alle attività di vigilanza svolte dall'ispettorato nazionale del lavoro (INL) relativi alle violazioni nei confronti dei dipendenti, il settore agricolo è stato quello che ha contato il numero più grande di illeciti per caporalato (865 casi registrati solo nel 2020).
Proprio perché l'agricoltura è caratterizzata da questo elemento di stagionalità, e quindi da contratti di breve durata, risulta relativamente facile per uno straniero sprovvisto di permesso di soggiorno finire in una situazione di sfruttamento e di illegalità.
Ma l’invito del primo maggio è stato sempre quello di non lasciarsi andare alla rassegnazione ma di attivarci nei nostri contesti di lavoro, per tutela i diritti di chi non riesce, e per ripartire dalle tante esperienze virtuose che esitono in Italia.
Guarda questi di Fattoria Solidale del Circeo che da anni sono impegnati nell’inserimento nel mondo del lavoro di persone disabili e svantaggiate, producendo un netto miglioramento della qualità della loro vita (www.fattoriasolidaledelcirceo.com) o l'esperienza di Cambalache che con il loro progetto Bee my Job ha avviato un percorso di agricoltura sociale che unisce inclusione di migranti e rispetto dell'ambiente, per la promozione di una cultura rispettosa di uomini e natura (www.cambalache.it/).
Ma guardiamo anche al lavoro delle organizzazioni come la Caritas che ha supportato progetti di cooperazione come Braccia Rese facendo nascere prodotti di elleccenza come“Errante” il vino solidale nato da questa proficua collaborazione (www.bracciarese.com/) o al lavoro di tutela, promozione e sensibilizzazione svolto da ADOC e da UIL con il progetto CaporALT (www.adocnazionale.it/capor-alt-il-caporalato-e-mafia/).
Oltre alle buone pratiche servono anche proposte innovative provano a dare nuovi strumenti e soluzioni di Rete.
Una delle proposte realizzate da NeXt Economia sul tema del Caporalato è quella di sostituire la “multifunzione” del Caporale attraverso l'applicazione di un Contratto di Rete Diffuso tra imprese e organizzazioni del Terzo Settore e l’applicazione di una nuova formula contrattualistica di comunità.
Da una parte una nuova forma di "Contratti di Rete Diffusi", già sperimentati in alcuni progetti da Next Social Commerce, hanno la funzione di creare delle reti/filiere tra imprese del settore agricole o del settore tessile (produttori, trasformatori, venditori, ecc…) e organizzazioni del Terzo Settore che si occupano di inclusione sociale, logistica cooperativa e housing sociale. La sfida, infatti, è quella di rispondere alle diverse esigenze delle aziende che hanno una grande presenza di lavoro stagionale, e in particolare a ripensare il collegamento tra domanda e offerta la gestione in chiave solidale e sostenibile.
Dall'altra la "Codatorialità di Comunità", permetterebbe il coinvolgimento diffuso dei lavoratori e delle lavoratrici all’interno di imprese che aderiscono a una Rete o a un distretto. La sfida per questa seconda proposta è quella di rispondere al problema della stagionalità e del lavoro irregolare attraverso la costituzione di un contratto di lavoro che possa migliorare le condizioni lavorative (benessere e retribuzioni) e stabilizzare con un sistema a rotazione integrato la durata incerta di alcuni tipi di mansioni (per i quali servirà una grande opera di formazione permanente).
Queste sono solo due delle tante proposte che con alcune organizzazioni della società civile verranno approfondite nei prossimi mesi.
L’umanità io l’ho divisa in due categorie di persone: uomini e caporali. La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza.
Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare tutta la vita come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama.
I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza avere l’autorità, l’abilità o l’intelligenza, ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque.
Dunque, dottore, ha capito? Caporali si nasce, non si diventa. A qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso: hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi, pensano tutti alla stessa maniera.Totò
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