Cultura

Siamo tutti meticci

L'editoriale / Il meticciato è un dato di fatto, figlio di un mondo che ha accorciato tutte le distanze, che mischia popoli e culture con la velocità che la globalizzazione impone

di Giuseppe Frangi

«Caro presidente Pera, noi siamo tutti meticci». Dopo aver letto i resoconti del discorso con cui il presidente del Senato ha dato il via al Meeting di Rimini, la presidente di una delle maggiori associazioni autorizzate alle adozioni, il Ciai, ha preso carta e penna e ha scritto allo stesso Pera. «Gentilissimo presidente», scrive Valeria Rossi Dragone, «sono il presidente di un?associazione di famiglie che, dal 1968, cerca nel nostro Paese una mamma e un papà per tutti quei bambini che si trovano in reale stato di abbandono. Questa missione viene svolta indipendentemente dal colore della loro pelle e dalla forma dei loro occhi, perché possano ricevere, com?è loro diritto, il calore, l?affetto e il sostegno di una vera famiglia. Le nostre quindi sono famiglie meticce; famiglie create con la consapevolezza e senza la paura di mischiarsi, nelle quali la differenza viene sempre considerata un valore, un accrescimento». Nella sua semplicità questa lettera è la risposta più efficace alle polemiche che il discorso del presidente del Senato ha scatenato: perché, più che contrapporsi con un?idea diversa, dimostra nei fatti come la realtà sia già sfuggita da quello schema rigido in cui Pera sogna di ingabbiarla. Il meticciato è un dato di fatto, figlio di un mondo che ha accorciato tutte le distanze, che mischia popoli e culture con la velocità che la globalizzazione impone. Siamo, davvero, tutti meticci, volenti o nolenti. Ma a parte questa constatazione che la realtà impone come ovvia, c?è da chiedersi se questo sia un bene o un male. Un?opportunità o un pericolo. Domanda indisponente e anche pletorica, ma è bene porla perché è la domanda che evidenzia la distanza tra una posizione come quella di Pera e le dinamiche proprie del cristianesimo. Il cristianesimo infatti è la religione dell?incontro, dell?accoglienza del diverso (leggete a pagina 5 di questo numero come il Papa abbia rievocato davanti ai giovani di Colonia l?episodio dei Magi: cercavano il bambino destinato a portare la giustizia nella casa dei potenti, lo trovarono in una grotta; e s?adattarono a una ?diversità? assolutamente imprevista e sconvolgente). Il cristianesimo è la religione dell?incontro senza precondizioni: non fosse così sant?Ambrogio avrebbe chiuso la porta davanti al berbero e pagano Agostino. Invece lo affascinò e lo portò alla conversione. E senza l?incontro con quel bambino inerme (il cristianesimo è anche una religione debole?), i Magi venuti dall?Oriente se ne sarebbero tornati a casa con le loro speranze tornate ad essere malinconiche utopie. La ?blindatura? identitaria che Pera invoca, insomma, è l?opposto delle dinamiche umane che hanno da sempre caratterizzato il diffondersi del cristianesimo. In un certo senso Pera sogna un??islamizzazione? del cristianesimo stesso, ipotizzandolo come religione ?armata?, impermeabile, arroccata nella difesa delle sue tradizioni. Ma le tradizioni sono fenomeni dinamici, e non le si preservano certo conservandole come dei fossili. La si preserva, invece, accettando il rischio di innestare il nuovo sull?antico. Quello di Pera è un cristianesimo ricondotto a religione di una parte del mondo, l?Occidente. Dicendo di difenderlo, in realtà lo strumentalizza e neutralizza. Vade retro…


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