Basta dare un’occhiata al “Beige Book”, la pubblicazione periodica della Federal Reserve sullo stato dell’economia per rendersi conto che la prima potenza mondiale continua a navigare in acque agitate. Infatti, secondo la banca centrale americana, l’economia Usa è “generalmente debole”, mentre i consumatori sono “schiacciati” dal rialzo dei prezzi alimentari ed energetici e il fiacco mercato del lavoro. Si tratta di un fenomeno estremamente complesso e comunque allarmante se si considera soprattutto che la globalizzazione ha notevolmente acuito i rischi di contagio. A questo proposito la dice lunga l’effetto domino sui mercati internazionali generato dalla crisi di uno specifico segmento dell’industria finanziaria americana legata ai mutui “subprime”. Se a questo scenario si aggiunge il problema del “caropetrolio” dovuto a situazioni di eccesso di domanda o scarsità di offerta come anche di natura puramente finanziaria e speculativa, l’economia mondiale, inutile nasconderselo, sembra essere davvero sul filo del rasoio. In questo contesto a pagare il prezzo più alto è come al solito il Sud del mondo e in particolare l’Africa. Se da una parte è vero che alcuni dei paesi in via di sviluppo sono produttori di petrolio, dall’altra va rilevato che la maggior parte degli stati africani non può permettersi l’acquisto dell’oro nero ed é dunque costretta ad imporre drastici tagli alla spesa pubblica. Ne consegue una diminuzione negli investimenti un po’ su tutti i versanti, dall’istruzione alla salute; per non parlare della sicurezza alimentare. Secondo un recente studio dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), condotto su un campione di 13 paesi africani non produttori di greggio, tra i quali figurano Sudafrica, Ghana, Tanzania, Etiopia e Senegal, risulta che dal 2004 quei governi hanno speso complessivamente 10,6 miliardi in più, l’equivalente cioè di circa tre punti percentuali del loro prodotto interno lordo. Una cifra davvero smisurata se si considera che nello stesso lasso di tempo, i governi in questione non sono riusciti parimenti a cancellare una quota così cospicua del loro debito. Anzi il dato più inquietante sta proprio nel fatto che l’emergenza è tale per cui si profilano per queste economie deboli nuovi indebitamenti con l’estero. Fare previsioni sul futuro non è facile in un momento di così forte turbolenza. Com’è noto le banche centrali sono intervenute a più riprese per contenere la crisi di liquidità. Ma è oramai chiaro che alla radice del problema vi è un sistema economico che, alla prova dei fatti, sembra essere diventato ingestibile. L’ideale sarebbe quello di creare, secondo alcuni autorevoli teorici dello sviluppo sostenibile, un sistema a doppia economia, vale a dire su due binari. La prima legata al soddisfacimento dei bisogni fondamentali a gestione collettiva, fuori dagli attuali meccanismi speculativi dei mercati, mentre la seconda a conduzione privata, legata all’appagamento del superfluo. Potrà sembrare utopistico, ma non v’è dubbio che a questo punto, alla luce anche delle sollecitazioni impresse dal magistero sociale della Chiesa, è inevitabile la definizione di un sistema economico-finanziario alternativo, prima che sia troppo tardi.
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