Famiglia

Siamo famiglie non operatori

La revisione della legge 184 sull’affidamento dei minori non soddisfa tutte le associazioni. Famiglie per l’accoglienza teme che venga violata la libertà degli affidatari e dei bambini

di Giampaolo Cerri

Non statalizziamo l?affido. È la richiesta di Famiglie per l?accoglienza, associazione che riunisce 6.000 persone impegnate in tutta Italia nell?adozione e nell?affido. A preoccupare la presidente, Alda Vanoni, è la presa di posizione del Gruppo minori del Cnca Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, in occasione del recente convegno romano sul superamento degli istituti (?Vita? n.25 del 27 giugno). Nel documento, che voleva essere un promemoria al legislatore per una revisione della legge 184, si faceva riferimento a ?percorsi formativi e valutativi? per selezionare le potenziali famiglie affidatarie, sottoposte poi a corsi di aggiornamento obbligatori.
«A noi pare di scorgere una concezione ?professionalizzante? dell?affido – dice la presidente di Famiglie per l?accoglienza – che peraltro esiste in molti paesi europei, come la Francia, o negli Stati Uniti». In Italia, ricorda Alda Vanoni, la nostra legge ha ipotizzato l?affido su base solidaristica: «Ed è una ricchezza per la nostra società – osserva – quando all?estero racconti che in Italia ci sono famiglie che, non per guadagno ma per solidarietà, si fanno carico di un figlio altrui, spalancano gli occhi».

Invece, avverte, «esiste, anche fra alcune associazioni un?insistenza che rischia di far perdere questo valore solidaristico, trasformando gli affidatari in semplici operatori». Che differenza passerebbe, si chiedono quelli di Famiglie per l?accoglienza, fra una famiglia affidataria ed una comunità con operatori pubblici? «La legge 184 valorizza la famiglia in quanto tale: come comunità di affetti, con un progetto autonomo e una propria capacità di indipendenza rispetto al servizio pubblico – nota la Vanoni – temiamo che il corso di formazioni controllato dal pubblico, l?aggiornamento curato dai servizi, portino, prima o poi, alla proposta di uno stipendio e della previdenza sociale per le famiglie affidatarie. Insomma, che si arrivi al professionismo – conclude – perdendo totalmente quella che, secondo noi, era un?intuizione geniale della legge: far leva sulla cultura solidaristica».
Famiglie per l?accoglienza intravede in queste proposte, ma ancor di più nella concezione che le muove, un tentativo di statalizzare l?affido.

E poi, si chiede l?associazione, formare e selezionare gli affidatari, presuppone genitori che pianifichino ?a tavolino? la propria disponibilità? «Un?evenienza che ci spaventa – confessa la presidente -. Rischiamo di avere persone che pensano di risolvere, con l?affido, alcuni bisogni interni alle famiglie stesse». Insomma, affido come risoluzione di problemi propri. «Che non è propriamente l?interesse del bambino senza contare che rapportarsi ad un fatto complesso come l?affido, partendo da sé, può essere davvero pericoloso».

Diversa, spiega la presidente, è la posizione di persone che mosse da un bisogno incontrato, dicono: «Non ci avevo mai pensato, ma potrei anche farlo». «Metodologicamente – conclude – è un percorso più umano: tien conto del fatto che tu, come uomo, liberamente reagisci ad un bisogno che ti è prospettato».

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