Non profit

Siamo come una Ferrari

di Elena Zanella

Immagina di essere il titolare di un bar. Entra un investitore e ti dice che gli piacerebbe investire per tutto il prossimo anno su una parte delle tue attività. In particolare, per la creazione di nuove bevande a base di latte. Un test per una successiva commercializzazione in tutti i locali della tua città.

Per quanto banale e riduttivo, è questo il genere di trattativa che un fundraiser o un’organizzazione si trovano a gestire. Detto in altri termini, che si tratti di servizi sociali, di beni culturali, di formazione o di comunità, un ente trova fondi il più delle volte limitati nel tempo e circoscritti a progetti specifici. Questo lo mette nella condizione di pensare a progetti sempre diversi, appetibili, efficaci. Di avviarli e, naturalmente, di portarli a conclusione. Di rendicontarli.

Così facendo, una ONP diventa sempre più articolata e complessa. Se capace, diventa, al contempo, più ambiziosa. Non è un male se l’obiettivo è il bene. E’ fisiologico. E’ impresa.

Non sempre avviene ma se vi sono le premesse, un’organizzazione può crescere in modo considerevole. Al pari di un’impresa. Opportunità, capacità, leadership, necessità, visione sono elementi che concorrono allo sviluppo pianificato dell’organizzazione nel tempo. Ma per far questo c’è bisogno di capitale e di saper trattare.

Senza soldi e senza investimenti, un’organizzazione nonprofit è come una Ferrari su una strada sterrata.

Ecco perché anche le migliori organizzazioni sociali crescono lentamente rispetto alle imprese.

Proviamo ancora a immaginare: se ONP virtuose crescessero allo stesso ritmo delle aziende virtuose, si potrebbero fare grandi cose. Molto di più di quanto già non facciano.

L’investimento da parte dei privati diventerà sempre più importante nei prossimi anni, complice la sempre minore disponibilità del Pubblico. Misurabilità, gestione rigorosa, efficacia ed efficienza faranno da spartiacque tra le organizzazione su cui vale la pena investire nel lungo periodo e quelle meno appetibili. Quest’aspetto, più che fisiologico, lo chiamerei strumentale. Il donatore è sempre più maturo. A questa maturità si accompagna il concetto di pretesa, con una soglia dell’attenzione via via crescente.

Attualmente, la maggior parte delle organizzazioni non sono ancora pronte a pensarsi in modo diverso. Più organizzato e più orientato ai risultati. Il Terzo Settore opera sul Mercato e non è cosa altra rispetto ad esso. Investire e investirvi, sia da parte del privato che dal punto di vista interno, non è solo cosa buona e giusta. E’ anche funzionale. Alla crescita dell’ente, dell’impresa e del benessere collettivo. In una parola, al sistema di Welfare nel suo complesso.

Il nonprofit è come una Ferrari: motore e prestazioni sono eccezionali ma sacrificati se messi alla prova su una strada sterrata.

I cambiamenti sono in corso. E’ importante acquisire maggiore consapevolezza del proprio ruolo così come delle proprie responsabilità. Perché l’eccezione diventi la regola. Il termine “investimento” non è una novità per chi mi legge. Sdoganarne il tabù è conditio sine qua non per favorire la crescita del Terzo Settore. Non solo in Italia.

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Liberamente tratto da For Ambitious Nonprofits, Capital to Grow di David Bornstein (Fonte: The New York Times).

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