Welfare

Si diventa italiani in coda sul marciapiede

Permesso di soggiorno

di Redazione

Quando parlo con i ragazzi egiziani o marocchini, extracomunitari in genere, senza permesso di soggiorno, mi rendo conto che tutto quello che uno dà per scontato, per altri rappresenta un obiettivo irragiungibile. Io stessa, prima di ottenere la cittadinanza italiana, dai 18 ai 30 anni ho “subìto” lo stesso percorso umiliante, spesso insopportabile, di migliaia di extracomunitari in attesa del fatico foglio azzurrino, oggi tessera magnetica.
Di quel periodo mi ricordo la rabbia, ma anche il clima di solidarietà che, malgrado tutto, si instaurava fuori dalle questure, quando si dovevano passare le nottate fuori dai portoni dei Commissariati di Polizia di zona per prendere il numerino della fila. Io, per ottenere il rinnovo, ho dovuto attendere 14 mesi; c’erano persone che appena ricevuto il tanto desiderato permesso di soggiorno dovevano già presentare istanza di rinnovo perché ormai quasi scaduto… un paradosso.
Durante quelle mattine di attesa mi sembrava di non vivere in Italia, ero in un mondo parallelo, fatto di facce, colori, profumi e sapori diversissimi tra loro. Tutti lì, ammassati e transennati, gli uni addosso agli altri, sembrava quasi che lo status di extracomunitario in quella circostanza non ti garantiva il minimo dei diritti più elementari. Bisognava rimanere lì, non fare casino, sennò arrivava l’ufficiale “sempliciotto”, con il suo vocabolario monosillabico, che spaventava i più deboli con frasi del tipo: «Vuoi vedere che ti faccio tornare domani mattina, ti metto in fondo alla fila?!». Una madre indiana chiedeva di poter cambiare il pannolino al proprio piccolo di un anno all’interno della caserma: le fu negato l’ingresso. Era febbraio e la povera donna dovette cambiare il suo bambino sul cofano gelato di una macchina, fuori, in mezzo alla strada. Anche questa è Italia.

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