Politica

Sì della Camera alla legge sul “dopo di noi”

Mario Marazziti, presidente della Commissione Affari Sociali: «È una legge che fa una scelta chiara di campo a favore di soluzioni personalizzate e quanto più possibile di tipo familiare. Con questa legge si realizza il diritto, per genitori con figli di disabili gravi, di poter morire senza angoscia»

di Sara De Carli

L'Aula della Camera ha approvato la legge sul Dopo di Noi con 374 voti a favore e 75 contrari. Quali nuovi scenari si disegnano per le persone con disabilità? Lo abbiamo chiesto a Mario Marazziti (Democrazia solidale), presidente della Commissione Affari Sociali della Camera.

Presidente Marazziti, l’Italia finalmente ha una legge sul dopo di noi. È una buona legge?
È una legge attesa da tantissimo tempo, che rompe l’isolamento delle famiglie e il dramma di non sapere quale futuro avranno i figli, permette che mentre i genitori sono in vita si possa definire il progetto di autonomia ove possibile o comunque di progettare la vita in un ambiente quanto più simile a quello di una comunità famigliare… Oserei dire che con questa legge si realizza il diritto, per genitori con figli di disabili gravi, di poter morire senza angoscia.

A tante associazioni però la legge non piace: cosa risponde?
In un Paese dove non ci sono fondi per nulla, la scelta di istituire un fondo per il dopo di noi, per la prima volta in Italia, è una grande scelta politica. L’articolo che definisce il diritto del disabile grave a essere sostenuto nella sua disabilità anche dopo i 65 anni – fino ad ora a 65 anni si entrava nella categoria degli anziani non autosufficienti – è un grande passo in avanti, chiude con una società che ragiona per categorie. Più fondi sarebbero importanti, d’accordo, ma questa è già una svolta radicale.

Entriamo nel merito. Si dice che la legge non garantisce affatto che si ponga rimedio a soluzioni di istituzionalizzazione e segregazione delle persone con disabilità, perché la legge non è abbastanza chiara e non esclude ad esempio finanziamenti alle grandi strutture o non incentiva percorsi di de-istituzionalizzazione.
In realtà tutto l’articolato della legge è orientato a soluzioni alternative all’istituzionalizzazione. Certo, non è una legge analoga a quella che chiude gli opg, ma è davvero una legge che fa una scelta chiara di campo e questa scelta di campo è a favore di soluzioni personalizzate e quanto più possibile di tipo familiare o comunitario. Indica una linea di tendenza e gli enti locali, insieme alle famiglie e agli stessi disabili gravi hanno un ruolo nella definizione di questi programmi. Potremo avere interventi per la ristrutturazione della propria abitazione, per l’housing sociale, soluzioni di autoaiuto e solidarietà fra persone con disabilità, c’è il ruolo del Terzo settore… la direzione è chiara. Non si fissano paletti obbligatori, ma la legge nemmeno avrebbe potuto farlo, dato che il sociale rientra nelle prerogative degli enti locali. Peraltro c’è anche il tema di valutare caso per caso, può darsi che nell’immediato occorra immaginare un percorso di transizione per chi ha vissuto a lungo in luoghi “vasti”, gli automatismi non vanno bene. Detto questo, io sono uno che vorrebbe da sempre superare le RSA per gli anziani, figuriamoci per le persone con disabilità…

La legge di stabilità ha già stanziato 90 milioni per il Fondo collegato a questa legge: esattamente che cosa potrà finanziare questo fondo e chi ne potrà beneficiare? Strutture? Percorsi? Ristrutturazioni di casa propria? Le famiglie direttamente? Le associazioni?
Il Fondo andrà alle Regioni, che poi finanzieranno i percorsi sulla base di progetti, finanzieranno quello che manca. Nelle regioni si stabiliranno i modi, lo spirito è quello di finanziare progetti di vita.

Quindi ci sarà anche la possibilità di sostenere ristrutturazioni di case di privati?
Se questo favorisce la possibilità di convivere per due o tre persone con disabilità o anche per una sola persona crea le condizioni per tornare a vivere a casa propria, magari con un fratello, perché no?

Nel primo passaggio della legge di stabilità c’è stato un pasticcio, nella definizione della platea dei beneficiari, per cui sembrava che potessero accedere al fondo anche gli anziani non autosufficienti. Ci conferma che alla fine invece si parla solo di disabilità non derivante da invecchiamento?
Certo, è così. Sono due cose diverse, questo fondo è per la disabilità non legata all’età. Anzi, finalmente libera le persone da quella categorizzazione di cui dicevo all’inizio, per cui a 65 anni tutti divenatavano indistintamente anziani non autosufficienti.

Un altro punto critico è il fatto che si pensa il dopo di noi in maniera slegata dal durante noi, dai progetti di vita indipendente, dai problemi dei caregiver: manca una visione d’iniseme, dicono le associazioni.
No, in realtà in tutto il testo della legge il dopo di noi si lega ai progetti di vita, le soluzioni da costruire devono nascere durante noi.

Il punto più caldo del dibattito, anche in Aula, è il trust. Molti hanno sottolineato come la parte più chiara e dettagliata della legge sia proprio quella che riguarda il trust, peraltro una delle pdl originarie da cui si è partiti per arrivare al testo unico, parlava esclusivamente di questo. Alcuni dicono quindi che questa in realtà è una legge per sdoganare il trust in Italia o comunque sottolineano come questa sia una soluzione per pochi, particolarmente abbienti, e non la bacchetta magica per il dopo di noi, come sembra. Lei in Aula lo ha anzi indicato come modello da allargare: perché?
L’opposizione allo strumento del trust fatta in particolare dal M5S è una narrazione totalmente svincolata dalla realtà. La prima falsità è che questa legge crea il trust per non dare soldi pubblici alla disabilità, incentivando le famiglie e i privati ad arrangiarsi: è una falsità, esistono dei fondi pubblici. Il trust è una agevolazione che viene riconosciuta ai privati, alle famiglie, agli amici, a chiunque lo voglia di assegnare risorse – con agevolazioni fiscali – vincolate solo al progetto di vita della persona con disabilità, nelle modalità che si fissano all’istituzione del trust. Il trustee amministrerà non solo i soldi ma anche le intenzioni di chi ha creato il trust, quindi in pratica è la possibilità di creare una sussidiarietà orizzontale e di utilizzare fondi anche privati per costruire la qualità della vita, in maniera totalmente libera e mirata solo al bene della persona in difficoltà. In questo senso oggi parliamo di trust per i disabili gravi, ma dovrebbe diventare uno strumento possibile per vincolare beni ad associazioni non profit o a progetti anche per altre categorie deboli. E poi le dico… in questi mesi ho ricevuto 800 richieste di incontro da parte di soggetti diversi, a proposito di questa proposta di legge: neanche una è arrivata da assicurazioni o soggetti analoghi.

Foto Stephanie Keith/Getty Images

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