Non profit
Si apre il laboratorio del buon vivere
Il nuovo volto del quartiere milanese di via Padova
di Redazione
Sono 50 le realtà territoriali che, dopo la rivolta dello scorso inverno, si sono messe in rete con un obiettivo: cambiare davvero le cose. I risultati? Sorprendenti Sabato pomeriggio, via Padova è piena di gente che la percorre a piedi, in auto e sulla 56. Si, proprio la 56, che parte da piazzale Loreto e la percorre tutta fino a Crescenzago o al quartiere Adriano. La 56 è sempre piena e quando ci sali è difficile sentir parlare italiano. Qualcuno l’ha definita la “tradotta degli immigrati” e a me piace per questo. Quel pomeriggio, purtroppo, la quarta fermata su via Padova sarà l’ultima fermata di Ahmed AbdelAziz, fermato per sempre da una coltellata. Le sirene sono insistenti e interrompono i giochi con mio figlio, mi affaccio dalla finestra e vedo una moltitudine di lampeggianti blu e il vociare animato delle persone.
E oggi cosa vedo? Via Padova vuota è un’immagine irreale e quanto mai auspicata da quanti pensano che questa sia la strada della sicurezza a discapito di attività sociali che intervengano sulle ragioni del disagio. Precedentemente, alla inadeguata e inutile presenza dell’esercito, si sono aggiunti i finanziamenti per le famose ronde, in cui anziani poliziotti in pensione con le pettorine di “Milano sicura” e i Blue Berets, avrebbero dovuto portare la tanto bramata sicurezza nel quartiere; questa operazione di “successo”, costata circa 200mila euro, è riuscita perlomeno a far ridere e sorridere chi seguiva con lo sguardo questi buffi personaggi.
Per anni il Comune di Milano ha promosso bandi di finanziamento a favore di attività economiche e commerciali che andassero a stabilirsi in quartieri disagiati, con l’obiettivo di invertire la tendenza al degrado di queste zone; ma anche in questo caso qualcosa è cambiato. Il nuovo paradigma, in via Padova, è colpire le attività commerciali e imporre in modo discriminatorio nuovi orari di chiusura delle stesse. Molti commercianti, in modo unitario, hanno presentato ricorso al Tar ottenendo una sentenza che impone il rispetto di queste nuove regole solo sul primo tratto di via, ossia quello che va da piazzale Loreto fino ai ponti della ferrovia.
Alla risposta repressiva data dalle istituzioni attraverso i rastrellamenti, si è affiancata la risposta della società civile che da anni costantemente lavora per trovare risposte al disagio delle persone e cercare così di prevenire anche che episodi di violenza possano ripetersi in futuro. Il “Comitato Vivere in Zona 2” ha in poco tempo organizzato una rete nel territorio dando vita a una grandissima manifestazione, alla fine di maggio, nel quartiere che ha visto il coinvolgimento di decine di attori locali; intrattenimento, cultura, sport, gastronomia, convivialità in una due giorni di eventi per tutti i gusti e per ogni età descritta da un titolo che rappresentava l’idea che un bambino, che partecipava ad un laboratorio didattico di arte contemporanea, si era fatto della zona: «Via Padova è meglio di Milano».
50 realtà hanno lavorato e lavorano in rete per questo progetto con l’obiettivo di «non agitare emergenze, ma di concorrere a risolverle» attraverso ricerche, convegni, iniziative culturali, la realizzazione di interviste e documentari. Insomma, con la presenza sul territorio il Comitato ha contribuito a mettere in luce la rilevanza del fenomeno migratorio nella zona, la grande risorsa educativa rappresentata dalle scuole, l’importanza economica di via Padova – che ormai costituisce una realtà integrata e multietnica -, lo stato dell’arredo urbano, le situazioni di degrado fisico e abitativo, la presenza di situazioni dove il problema della sicurezza è molto evidente e trascurato da anni.
L’opinione pubblica in quartiere è ovviamente divisa: c’è chi sostiene che finalmente la presenza della polizia ha ripulito il quartiere e chi pensa, come me, che la presenza della polizia non sia la risposta o perlomeno non lo sia in questa forma.
Chi abita in via Padova si chiede cosa succederà dopo l’estate e quali novità metteranno in campo amministrazione comunale e istituzioni preposte all’ordine pubblico.
Finirà tutto così? Se ne parlerà al prossimo episodio di violenza? O verranno messe in atto politiche sociali atte a prevenire fenomeni di disagio e degrado? Tutto questo è stato reso possibile dalla completa indifferenza delle istituzioni che non hanno contribuito, nel corso degli anni, ad intervenire sul tema della convivenza in quartiere lasciandolo trasformare in un problema di sicurezza. Insicuri tutti, italiani e stranieri, scettici e pessimisti sul futuro di una zona abbandonata da troppo tempo e non valorizzata per la risorsa che è per la città. Un potenziale, e a volte reale, laboratorio di convivenza che rappresenta la Milano del presente e del futuro.
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