Sostenibilità
«Sì all’attivismo ambientale, no al vandalismo»
Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, parla delle azioni eclatanti che negli ultimi tempi si stanno moltiplicando. «La gente è per lo più d'accordo con le preoccupazioni dei giovani, ma non apprezza certi modi di agire: se imbratti un monumento o un'opera d'arte, anche se utilizzi una vernice lavabile o la passata di pomodoro, ottieni l'effetto contrario. Credo che sia giunto il momento in cui tutte le sigle si siedano e ragionino insieme per spostare le politiche»
C’è un modo nuovo di essere attivisti in ambito ambientale, rispetto alle battaglie stile anni Settanta-Ottanta o anche di periodi storici più recenti. L’episodio di Roma (con la Barcaccia di Piazza di Spagna imbrattata di vernice nera lavabile per sensibilizzare la cittadinanza sulle conseguenze del cambiamento climatico) è soltanto l’ultimo della serie, almeno sino ad oggi. Senza voler assumere il ruolo di giudici, ne parliamo con il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani.
«Il nuovo movimento ambientalista che utilizza queste formule e queste azioni eclatanti, parte da un problema che i giovani di oggi chiamano ecoansia, ed è un problema oggettivo e comprensibile», commenta. «Che i più giovani si preoccupino della piega che ha preso la crisi climatica e del futuro dei loro figli e dei loro nipoti, è di per sé positivo e condivisibile. È un problema che ci siamo sempre posti anche noi. D’altronde, in un lontano passato, Legambiente ha condotto tante battaglie importanti: per esempio, quando lanciammo la petizione “Fermiamo la febbre del pianeta” nel 1990, con cui chiedemmo al governo di allora di mettere in campo politiche sull’uso dei combustibili fossili e per ridurre i gas serra, un anno dopo la caduta del muro di Berlino e due anni in anticipo rispetto alla prima Conferenza mondiale dell’Onu sullo sviluppo sostenibile. Voglio dire che è un tema che conosciamo molto bene. E sappiamo che c’è questa preoccupazione forte da parte dei ragazzi. Tuttavia, non riusciamo a comprendere la modalità di questo genere di manifestazioni».
Ciafani poi ricorda che «trent’anni fa Legambiente lanciò la storica campagna “Salvalarte”, che monitorava l’aggressione dell’inquinamento sui beni culturali del Paese. Abbiamo sempre cercato di difendere il nostro patrimonio. Però, con le modalità cui stiamo assistendo, rischiano di allontanare i cittadini che si vorrebbero coinvolgere: il dibattito si concentra sull’atto, sull’azione, e non sui motivi che hanno portato questi giovani a compiere certe azioni. Se blocchi una strada, fai arrabbiare i cittadini; se imbratti un’opera d’arte o un edificio storico, anche se con vernice lavabile o passata di pomodoro, fai arrabbiare la gente comune che, secondo i sondaggi, è pure d’accordo con la protesta. La modalità fa davvero la differenza».
«Anche noi abbiamo compiuto gesti eclatanti», si affretta a sottolineare Ciafani. «Nel 1986 bloccammo in maniera pacifica le quattro centrali attive presenti in Italia. Non è che ci limitiamo a fare filosofia. Come andammo con Goletta Verde a protestare contro le navi che scaricavano rifiuti industriali in mare: alla Montedison di Porto Marghera, all’Enichem di Manfredonia oppure nell’area industriale di Scarlino, in provincia di Grosseto. Però abbiamo sempre cercato di trascinarci dietro i cittadini. Ecco, abbiamo l’impressione, anzi il timore fondato, che le azioni cui stiamo assistendo ultimamente allontanino i cittadini. Detto ciò, le azioni di contrasto con strumenti particolarmente severi (penso alle iniziative che sono state fatte ancor prima del disegno di legge di cui si sta discutendo in questi giorni in Parlamento), francamente mi sembrano eccessive. C’è molta speculazione politica. Non condividiamo i metodi di movimenti come Ultima Generazione o simili, pur condividendone le finalità, ma non per questo chiediamo misure interdittive per quei ragazzi che compiono azioni tutto sommato pacifiche. A quegli attivisti dico anche: invece di prendervela con i monumenti o i quadri, dirottate le vostre attenzioni nei confronti degli inquinatori. Non solo: costruite una mobilitazione per far fare le cose. Tutti gli ambientalisti dovrebbero mobilitarsi in giro per l’Italia per far realizzare i progetti di impianti eolici a terra, di agrivoltaico sui terreni agricoli che non consumano il suolo, degli impianti fotovoltaici nei tetti dei centri storici al di fuori delle zone Unesco. Questa è la vera sfida dell’ambientalismo italiano, spingere per andare velocemente verso la transizione ecologica. Chiediamoci perché occorrono sei mesi per autorizzare un gassificatore e non meno di sei anni per il via libera a un impianto eolico. Protestare contro le mancate politiche, ci farà arrivare tardi. Piuttosto, sediamoci a discuterne tutti insieme, nessuna sigla esclusa».
Legambiente sta escogitando una modalità per avvicinare quei movimenti e canalizzare quelle energie in maniera positiva, trovando un punto d’incontro e di dialogo? «C’è una riflessione in corso», spiega Ciafani. «Sono ambientalisti con cui ci confrontiamo, non è che non li consideriamo. Negli ultimi anni ci siamo incrociati in più occasioni. Speriamo di arrivare a un obiettivo condiviso. L’ecoansia è anche frutto di ciò che è accaduto in pandemia, soprattutto durante il lockdown, ma bisogna orientare le azioni per far fare le cose. Se non spostiamo le politiche, otteniamo l’effetto contrario».
Foto: Avalon/Sintesi
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