Welfare

Sì ai matrimoni anche per gli irregolari

Lo dice una sentenza della Cassazione

di Redazione

Nella primavera 2009, il pacchetto sicurezza insieme al permesso a punti, al reato di immigrazione clandestina e al testi di italiano per avere la cittadinanza, prevedeva anche il divieto di matrimonio tra un cittadino italiano e uno straniero clandestino: per sposarsi, bisognava presentare il permesso di soggiorno.

Ora invece, giudicando su un rinvio promosso dal Tribunale di Catania, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della modifica apportata al Codice civile (articolo 116, primo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che ha posto quale condizione per l’effettuazione delle pubblicazioni di matrimonio da parte dell’ufficiale di stato civile nei casi in cui uno o entrambi i nubendi siano cittadini stranieri, l’esibizione da parte di questi della documentazione attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano.

Con la sentenza n. 245 dd. 25 luglio 2011, riportata integralmente da Asgi, la Corte Costituzionale stabilisce che il diritto a contrarre matrimonio costituisce un diritto umano fondamentale discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione, ed espressamente enunciato nell’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e nell’articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Come tale, tale diritto spetta «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani»,  con la conseguente che la «condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi».

La Corte Costituzionale ha considerato come legittima la finalità del legislatore di ostacolare i “matrimoni di comodo” quale parte di una politica volta ad accentuare i controlli sui flussi migratori, ma ha ritenuto che la misura approvata dal Parlamento è sproporzionata  per l’entità del sacrificio imposto  alla libertà di contrarre matrimonio non solo degli stranieri ma, in definitiva, anche dei cittadini italiani che intendano coniugarsi con i primi, imponendo una contrazione alla libertà matrimoniale anche nei confronti di coloro che intendano contrarre matrimonio in assoluta “buona fede”.

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