Cultura

Si aggrava la situazione in Darfur

Ucciso un collaboratore di Medici senza frontiere. Mentre L'ong britannica, Save the children, ritira il suo personale per motivi di sicurezza dopo il fallimento della Conferenza di pace

di Redazione

Non si placano le violenze nel Darfur e nel mirino ci sono anche le organizzazioni umanitarie. All’indomani dell’annuncio del ritiro di Save the Children a seguito dell’uccisione di 4 dei suoi 350 operatori, Medici senza frontiere ha dato notizia dell’uccisione avvenuta venerdi’ scorso di un suo collaboratore sudanese, il secondo negli ultimi tre mesi. Nel corso di un attacco condotto dalle truppe governative sudanesi a Labado, nel sud del Darfur, l’uomo e’ stato ucciso davanti al magazzino dell’organizzazione umanitaria di soccorso medico. Dei 38 collaboratori locali che al momento erano presenti in citta’, 29 risultano tuttora dispersi.

Save The Children lascia il Paese
Dopo l’uccisione di quattro suoi volontari in due mesi, l’organizzazione umanitaria britannica Save The Children ha annunciato oggi il ritiro di tutto il personale – 350 persone – dalla regione sudanese del Darfur. Lo ha reso noto l’Ansa.

”Siamo addolorati di non poter continuare ad offrire cure sanitarie, cibo ed assistenza ai 250.000 bambini e familiari che usufruivano del nostro programma. Ma non possiamo neppure continuare ad esporre il nostro personale ad inaccettabili rischi”, ha detto il responsabile dell’organizzazione Mike Aaronson. Gia’ il 13 dicembre, proprio a seguito dell’uccisione di due sudanesi che lavoravano per Save The Children, l’Onu aveva annunciato la sospensione delle sue operazioni nella zona devastata dalla guerra. Dall’inizio del conflitto tra governo sudanese e ribelli nel febbraio 2003, piu’ di 70.000 persone sono state uccise o sono morte di fame e di malattia nel Darfur. Un altro milione e mezzo di persone ha dovuto abbandonare terre e case, e vive in condizioni drammatiche in campi profughi, anche oltreconfine.

Fallita la Conferenza di pace
L’Unione Africana (Ua) getta la spugna. Lo sostiene l’Afp secondo la quale ieri sera, il portavoce dell’Istituzione panafricana ha convocato una Conferenza stampa per annuniciare la chiusura anticipata del terzo round di negoziati. All’origine della decisione presa dall’Ua, il rifiuto dei ribelli di una mediziano libica nel conflitto che li oppone dal febbraio 2003 al regime del presidennte sudanese Omar el Beshir.

Già due giorni dopo la sua apertura sabato scorso, i colloqui di pace erano a un punto morto dopo il ritiro di due delegazioni ribelle per l’offensiva lanciata negli ultimi giorni dal governo nel Sud Darfur. Dallo scorso 18 dicembre, i responsabili delle forze militare dispiegate dall’Ua in Darfur hanno rivelato una ripresa di combattimenti nei pressi della città di Labado (Sud Dardur), teatro da oltre un mese di violenti offensive governative.

Ieri sera, gli Stati Uniti si sono detti “estremamente preoccupati” dalla riesplosione delle violenze nel Darfur. Da parte sua, il presidente di turno dell’Ua, il capo di Stato nigeriano Olusegun Obasanjo ha tentato di salvare i colloqui di pace mandatando la delegazione libica a guidare una nuova mediazione. Una decisione, quella di Obasanjo, respinta in tronco dai ribelli dello JEM (Movimento per la giustizia e l’uguaglianza) e dal SLM (Movimento per la liberazione del Sudan).

“Fare intervenire la Libia significa creare un nuovo organo al di fuori dal meccanismo di mediazione già esistente” ha detto ieri il portavoce dello JEM Ahmed Tugod per poi aggiungere che “il governo sudanese deve ritirare immediatamente le sue truppe sulle sue posizioni originarie”.

Al rifiuto dei ribelli si è contrapposta la disponibilità di Khartum, pronta a sostenere pienamente l’iniziativa “libica” proposta da Obasanjo. “Noi, governo sudanese, appoggiamo l’iniziativa libica per facilitare la pace, il cessate il fuoco e il miglioramento della sicurezza sul tereno, nonché rtrovare un’intesa globale” ha dichiarato il capo della delegazione sudanese.

La Libia, con l’appoggio della Nigeria e del Ciad, ha proposto che, in rispetto degli accordi presi a N’Djamena l’8 aprile 2003, tutte le parti in conflitto s’impegnino a cessare immediatamente gli scontri su tutti i fronti ritirandosi sulle proprie posizioni originarie. Al fine di controllare questo ritiro, Tripoli prevede inoltre di creare una commissione mista composta dai belligeranti, la Nigeria, la Libia, l’Ua e la commissione del cessate il fuoco

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