Comprarsi un paio di scarpe e sentirsi anche caritatevoli. Un’utopia per molti shopaholic dalle velleità magnanime, almeno fino ad ora. Negli Stati Uniti una nuova forma di marketing filantropico converte in “buona pratica” attività che non hanno mai avuto un impatto sociale elevato come, appunto, fare shopping e mangiare al ristorante. Si chiamano GoodShop e GoodDining e sono servizi sviluppati da GoodSearch, la società che nel 2005 aveva lanciato l’omonimo motore di ricerca che devolve il 50% delle proprie entrate alle non profit indicate dagli utenti. GoodShop è un enorme negozio online dove una percentuale del ricavato di ogni prodotto acquistato viene devoluta ad una ong, anche in questo caso scelta dal consumatore.
GoodDining è invece l’ultima frontiera esplorata da GoodSearch: un servizio che mette a disposizione dei clienti la possibilità di mangiare in uno dei 10mila ristoranti appartenenti al network e devolvere ad una non profit di fiducia una parte della somma spesa per il pasto.
Il sistema creato da GoodSearch solleva sia l’associazione beneficiaria che il donatore da qualsiasi onere economico. Mentre nel caso di GoodShop sono infatti le aziende venditrici dei prodotti ad effettuare la donazione, per quanto riguarda GoodDining sono i ristoranti ad occuparsi del pagamento. Dal suo lancio, avvenuto nel 2007, GoodShop ha devoluto in beneficenza 8 milioni di dollari.
Una forma di marketing innovativo che sembra funzionare e che, mai come in questo momento di crisi, risulta una risorsa preziosa. Secondo uno studio della società di fundraising Dunham, si calcola infatti che nel prossimo anno due terzi degli americani saranno costretti a risparmiare sulle donazioni benefiche.
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