Cultura

Shoah: i luoghi della memoria fanno rete per andare oltre la memoria

I sei musei e memoriali più importanti d'Italia si uniscono. «Sta finendo l’era dei testimoni, ora dobbiamo far parlare i luoghi. Luoghi che raccontano una Shoah italiana», dice Milena Santerini, vicepresidente della fondazione che cura il "Binario 21" alla Stazione Centrale di Milano. La sfida con i più giovani? «Andare oltre l'orrore e la pietà, agganciando la memoria al tema dei diritti umani oggi»

di Sara De Carli

Uno dei due Murales raffiguranti i Simpson davanti al Memoriale della Shoah dello street artist Alexsandro Palombo

Nasce la Rete italiana dei Luoghi della Memoria: dalla Risiera di San Sabba al Binario 21 di Milano, passando per Ferrara, Fossoli, Roma e arrivando fino in Calabria con il Museo Internazionale della Memoria di Ferramonti. Sono sei i soggetti che da oggi uniscono le forze per aumentare ulteriormente la loro capacità di fare sensibilizzazione, informazione, cultura: guardando al passato per agire sul presente e sul futuro. Sono i principali custodi della memoria della Shoah in Italia: il Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah (Ferrara), la Fondazione Memoriale della Shoah (Milano), la Fondazione Museo della Shoah (Roma), la Fondazione Fossoli, il Civico museo della Risiera di San Sabba (Trieste) e il Museo internazionale della memoria di Ferramonti (Tarsia).  La rete è stata presentata oggi a Roma nel convegno I luoghi della memoria dialogano. Musei e memoriali per insegnare la Shoah.

«Sta finendo l’era dei testimoni, quindi ora dobbiamo far parlare i luoghi: luoghi fisici della deportazione o musei che raccolgono la storia dell’ebraismo italiano. Sono luoghi che parlano e che parlano di una Shoah italiana», afferma Milena Santerini, vicepresidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano e promotrice della rete. «I luoghi della memoria sono certamente i campi di concentramento e di sterminio all’estero, ma sono anche luoghi italiani: musei e memoriali. Affermando ciò, stiamo dicendo esplicitamente che la Shoah ha una dimensione nazionale, non solo perché ci sono state vittime italiane e che anche noi, come Paese, dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Venite in questi luoghi, scoprirete tante cose: è questo il nostro invito, per tutti i giovani e non solo».

Sta finendo l’era dei testimoni, quindi ora dobbiamo far parlare i luoghi. Luoghi italiani. Affermando ciò, stiamo dicendo che la Shoah ha una dimensione nazionale e che anche noi, come Paese, dobbiamo assumerci le nostre responsabilità

Milena Santerini

La rete nasce in un momento in cui stanno tornando segni di antisemitismo. È un caso?

Effettivamente servirebbe fare un po’ di autocritica, a cominciare dalla scuola: è servito tutto il lavoro fatto sulla Shoah? A che cosa? Che segno ha lasciato? Il punto è che il lavoro sulla memoria non può essere solo un lavoro emotivo, che muova alla compassione, che susciti pietà o orrore per quello che è accaduto: occorre fare una riflessione sui meccanismi che hanno generato la Shoah – il razzismo, l’esclusione, la discriminazione, i pregiudizi, la creazione del nemico – e su come quei meccanismi oggi possano riproporsi. Bisogna trovare il modo di parlare della Shoah riportandoci all’oggi, facendo il passaggio sui diritti umani oggi. Le visite ai luoghi della memoria, al di là della commozione, devono generare il rifiuto dell’odio: da quello contro Israele a quello contro gli immigrati. 

Il lavoro sulla memoria non può essere solo emotivo: occorre fare una riflessione sui meccanismi che hanno generato la Shoah – il razzismo, l’esclusione, la discriminazione, i pregiudizi, la creazione del nemico – e su come quei meccanismi oggi possano riproporsi. Andare dalla memoria ai diritti umani oggi

Milena Santerini

Che succede quando la Shoah la trasferisci sull’oggi? Che non è un oggi ipotetico…

Se questi meccanismi li trasferisci sull’oggi, viene fuori che si ha ancora bisogno di un nemico e quindi se da un lato è legittimo criticare le politiche di certi governi di Israele, vediamo anche riemergere dei pregiudizi inconsci che ci fanno pensare che si sta andando di nuovo verso l’antiseministimo. L’avere simpatia per un popolo oppresso come il popolo palestinese non deve sottrarre empatia verso il mondo ebraico: invece – soprattutto tra i giovani – mi pare di vedere molto un discorso di “pesi” per cui agli ebrei di simpatia gliene abbiamo data già tanta e quindi adesso è ora di “togliergliene” un po’. In Germania si parla ormai di un antisemitismo secondario, alimentato proprio dagli interventi legati alla memoria della Shoah, che fa dire ai più giovani “ma noi che c’entriamo? Adesso basta con questo parlare sempre di loro”.

All’indomani dell’attacco di Hamas ai giovani del rave party e ai massacri nei kibbutz lei ha già evidenziato come nei giovani in Italia e in Europa sia mancato un atteggiamento di empatia verso quelle vittime.

Quello di Hamas è stato un attacco terroristico di una crudeltà incredibile, ma in tanti non ha suscitato empatia: come se mostrare empatia per quelle vittime significasse tout court “parteggiare” per Israele. I giovani occidentali che stanno – giustamente – con le donne iraniane, con le minoranze oppresse, che condannano gli stupri… non sono riusciti ad avere una solidarietà limpida verso le donne stuprate e torturate quel giorno, verso i bambini uccisi. Perché? Perché Israele oggi è visto come un paese occidentale e colonialista. Ma anche perché sotto questa difficoltà a empatizzare con gli ebrei ci sono quei pregiudizi che sono stati le radici dell’antisemitismo.

Come lavorerà la rete dei luoghi della memoria?

Tutti i luoghi hanno un’offerta formativa molto sviluppata: faremo reciprocamente conoscere quello che già facciamo, scambieremo buone pratiche. È una ricchezza enorme.  

Foto Stefano Porta/LaPresse: uno dei due murales raffiguranti i Simpson davanti al Memoriale della Shoah di Milano, realizzati dallo street artist Alexsandro Palombo alla vigilia della giornata della memoria del gennaio 2023.

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