Shirley Temple, la bambina che risvegliò l’America
Si è spenta a 85 anni la bambina prodigio più famosa di tutti i tempi, che sbancò Hollywood negli anni Trenta. Memorabili le sue interpretazioni, ma anche il suo impegno da adulta come ambasciatrice degli USA
Le vie del progresso sono infinite, talvolta passano anche attraverso il cinema. Lo sapeva bene Franklin Delano Roosevelt, che dovendo gestire le legittime rimostranze di un popolo abbattuto dalla Grande depressione, trovò in Shirley Temple un asso nella manica mica da poco. Lo disse proprio in termini espliciti: «Finché il nostro Paese avrà questa bimba, noi staremo bene». Non a caso è stato uno dei presidenti più amati della storia americana: era in sintonia con la gente, capiva quali fossero i gusti del popolo e probabilmente, in buona parte, li condivideva.
“Riccioli d’oro” ci ha lasciato l’altro ieri, all’età veneranda di 85 anni.Una vita intensa, poliedrica, ricca anche di iniziative per il sociale che accettava, con orgoglio, di promuovere come madrina. E sì che quei riccioli, rimasti nella storia del cinema e più in generale del costume, non erano naturali: in origine castana e coi capelli lisci, furono i produttori cinematografici a suggerire alla madre (suggerire si fa per dire, era chiaramente un’imposizione) di trasformarla in bionda, pettinata come una bambola di porcellana. La mamma, ogni mattina che Dio mandava in terra, le sistemava la chioma con 56 boccoli perfetti. È stata la sua fortuna, ma anche dell’America: quel peperino paffuto, col sorriso contagioso, accompagnò realmente il percorso di rinascita di un Paese allo stremo. Naturalmente, quando gli Stati Uniti fanno da apripista a una moda, il mondo intero poi la importa al più presto per farne un business –oggi accade forse un po’ meno rispetto agli anni Trenta, ma il fascino dei prodotti “a stelle e strisce” rimane sostanzialmente inalterato.
Uno si domanda: come è potuto accadere che una bambina prodigio -oltretutto figlia di una donna che non riuscì mai a diventare ballerina di successo, e che quindi riponeva sulla piccola le proprie ambizioni frustrate- negli anni sia cresciuta sana e forte, senza un filo di rimpianto per l’ “età dell’oro” in cui sfornava un successo commerciale dietro l’altro? Effettivamente è una rarità, perché la storia dello spettacolo è piena di infanti che, spremuti come limoni da minorenni, una volta spente le luci della ribalta non reggono il colpo, e fanno una brutta fine (un’altra eccezione lodevole in questo senso è il nostro Andrea Balestri, Pinocchio nello sceneggiato di Comencini, che vive felicemente lontano dai riflettori). Buon per lei, dunque. E buon per le persone che hanno tratto vantaggio dalla sua costante, sempre rivendicata attenzione verso i più deboli della terra.
I democratici la coccolavano, considerandola la mascotte della rinascita dalla crisi, ma il suo cuore da adulta batteva per i repubblicani: diede il suo appoggio a Nixon durante la campagna elettorale del ’68, Ford la nominò ambasciatrice degli USA in Ghana nel ’74 e Bush padre fece altrettanto in Cecoslovacchia, nel 1989. E ancora, nell’ ’87 il segretario di stato USA George Shultz la nominò primo ufficiale onorario del ministero degli steri.
Riassumere nello spazio di un articolo le innumerevoli iniziative legate al non-profit che la videro coinvolta non è possibile. Basti dire che, negli anni della maturità, lei ha fatto ciò che dovrebbe fare chiunque abbia avuto molta fortuna già nell’infanzia: cercare di restituire agli altri una parte di quel benessere che –grazie alla sua bravura, perché era veramente un prodigio della natura- era riuscita a conseguire.
Alcuni, dopo aver appreso la notizia della sua dipartita, sono rimasti sorpresi: pensavano fosse morta da chissà quanti lustri. Altri –molti altri, soprattutto tra i giovani- non sapevano proprio chi fosse Shirley Temple. O meglio, non abbinavano il nome all’immagine, perché l’icona è rimasta ben viva, nella mente di tutti. A parte i film in cui sfoderava il suo talento nella danza e nel canto, che in passato venivano trasmessi a più riprese (ora molto meno, perché i “guru” televisivi si son messi in testa che il pubblico non apprezza i bei classici di una volta), i pubblicitari spesso e volentieri riprendono la sua immagine bambina, perché sanno che esprime positività, attira i grandi e i piccini.
Non tutti ricordano che Dalí la raffigurò in un suo quadro come una sfinge, ma la copertina di Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band, mitico album deiBeatles, è passata tra le mani di chiunque: lì è presente per ben due volte, come sagoma di cartone a fianco a George Harrison e come bambola che indossa una maglietta con su scritto, ironicamente, “Welcome Rolling Stones”.
Il coraggio non le mancava: è stata la prima donna a dichiarare pubblicamente, nei primi anni Settanta, di avere vinto un tumore al seno. Insomma Shirley Temple ha lasciato un segno, sia come attrice sia come donna attenta alle cause umanitarie. Questo secondo aspetto, tirando le somme di una lunga esistenza, la inorgogliva di più. Riguardo al suo ruolo di ambasciatrice, diceva: «È stato il più bel lavoro della mia vita».
Peccato solo che non l’abbiano poi scritturata per Il mago di Oz: forse avrebbe cantato Over the rainbow perfino meglio di Judy Garland.
Che la terra le sia lieve. Il miglior modo per salutarla è intonare Goodnight my love, la celebre ninnananna che molti anni fa portò al successo.
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