Welfare

Sharing economy, parte la discussione sulla legge: Airbnb sì, Uber no

Il testo composto da 12 articoli incardinato alle commissioni riunite Trasporti e Attività produttive. Antonio Palmieri, uno dei firmatari del provvedimento: «Puntiamo a ottenere un duplice vantaggio: da una parte ridurre l’evasione e l’elusione fiscale, dall’altra mettere un freno a fenomeni di concorrenza sleale»

di Redazione

Partirà mercoledì 4 maggio alla Camera nelle commissioni congiunte alle Commissioni riunite IX Trasporti e X Attività Produttive l’esame parlamentare dell’atto 3564 battezza “Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell'economia della condivisione" più nota come legge sulla sharing economy.

Nel frattempo continuerà sino a fine maggio la consultazione popolare sull’articolati (per partecipare cliccare qui)

In Italia secondo uno studio di Collaboriamo.org e dell’università Cattolica le piattaforme collaborative nel 2015 sono 186 (+34,7 per cento rispetto al 2014) e, nota l’onorevole Antonio Palmieri (Forza Italia) secondo firmatario della proposta di legge e animatore dell’intergruppo per l’innovazione tecnologica, «ormai un quarto degli italiani si serve di questo genere di strumentazioni».

vogliamo agevolare questo tipo di economia creando un meccanismo win-win sia per chi mette in condivisione, sia per chi fruisce del servizio», distinguendo in modo netto fra operatori professionali e chi invece utilizza la sharing economy come integrazione del reddito

Antonio Palmieri

La norma ad oggi si compone di 12 articoli. L’articolo 1 detta le finalità della legge, sostanzialmente favori l’economia della condivisione, mentre a delimitare il perimetro è il secondo articolo in cui dall’economia della condivisione sono escluse « piattaforme che operano intermediazione in favore di operatori professionali iscritti al registro delle imprese».

«L’obiettivo», spiega, Palmieri, «è quello di agevolare questo tipo di economia creando un meccanismo win-win sia per chi mette in condivisione, sia per chi fruisce del servizio», distinguendo in modo netto fra operatori professionali e chi invece utilizza la sharing economy come integrazione del reddito». Per questo all’articolo 5 si prevede un diverso trattamento a seconda del volume di affari: «…Ai redditi fino a 10.000 euro prodotti mediante le piattaforme digitali si applica un’imposta pari al 10 per cento. I redditi superiori a 10.000 euro sono cumulati con i redditi da lavoro dipendente o da lavoro autonomo e a essi si applica l’aliquota corrispondente.». «In questo modo», è ancora il deputato azzurro che parla, «favoriamo chi mette a disposizione una stanza, ma teniamo fuori gli affittacamere che magari si servono di piattaforme tipo Airbnb o servizi sul genere di Uber». Con questo filtro «dovremmo ottenere un duplice vantaggio: da una parte ridurre l’evasione e l’elusione fiscale, dall’altra mettere un freno a fenomeni di concorrenza sleale».

Infine altri due passaggi qualificanti del Pdl: le piattaforme della condivisione dovranno iscriversi a un Registro elettronico nazionale tenuto dall’ L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (articolo 3) e dovranno trasferire all’istat tutte le informazioni statistiche su utenti – naturalmente senza violare il diritto alla privacy – e fatturati (articolo 9) «in modo da costruire un quadro attendibile del peso economico della sharing economy in Italia», conclude Palmieri.

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