Economia
Sharing Economy, cooperative dove siete?
La complessa partita del platform cooperativism. Dove si gioca? Chi sono i competitor? Quali le criticità interne all’impresa cooperativa? Un’analisi dalla rubrica “Sharing. Idee sulla weconomy” sul numero del magazine di giugno
La partita del platform cooperativism si gioca su diversi campi. Un po’ come succede nei grandi tornei di tennis. Certamente il campo centrale è oggi rappresentato dal tentativo di democratizzare la governance delle piattaforme estrattive del capitalismo digitale. Ma, molto pragmaticamente, si tratta di una partita molto complessa, non solo perché l’avversario è forte, ma anche perché sorgono alcuni dubbi rispetto all’effettiva capacità del suo competitor, l’impresa cooperativa, di farvi fronte. In particolare su alcuni aspetti legati all’acquisizione e gestione di asset tecnologici complessi, alla raccolta di una massa finanziaria per far fronte a investimenti consistenti e alla capacità, tutta interna, di sviluppare scambi mutualistici non solo fra pari, ma coinvolgendo una pluralità di portatori di interesse come ricordava un interessante articolo pubblicato su Les Echos qualche tempo fa.
In un campo laterale si gioca però un’altra interessante partita. In apparenza anche questa difficoltosa guardando all’avversario, ma in realtà con più punti di forza per l’opzione cooperativa. Si tratta di esperienze di dialogo e, addirittura, di collaborazione tra piattaforme digitali globali ed esperienze dal basso organizzate in imprese di comunità che si collocano in contesti territoriali marginali, lontani dalle luci scintillanti delle metropoli smart.
Un paio di casi: Lavenone, un piccolo paese della provincia di Brescia nel Nord Italia, è uno dei “borghi autentici” dove Airbnb ha scelto di investire per dimostrare la sua capacità di valorizzare l’eccellenza locale del made in Italy dal punto di vista paesaggistico e storico- culturale. Ma la cosa interessante è che ad attendere i country manager della piattaforma non ci sarà solo una manciata di host sparsa nel paese e nel territorio limitrofo, ma una ben strutturata rete di mutualità tra cittadini, imprese sociali, enti locali grazie anche alle risorse messe a disposizione da un’importante fondazione per rigenerare economia e socialità di questa “area interna”.
Calceranica invece è un paese in provincia di Trento (sempre nel nord del Paese) di mille abitanti e di 600 seconde case turistiche spesso sfitte. In questo caso una piccola agenzia di sviluppo locale ha pensato di fare pooling di queste risorse sottoutilizzate trasformandole in una specie di “gruppo di vendita” grazie anche ad una strategia e a un’immagine coordinata all’interno della piattaforma booking. Forse un primo passo per vedere se da cosa nasce cosa. Se dal riconoscimento e dalla soluzione di un problema agendo “in comune” è possibile passare da un’aggregazione di self interest a una vera e propria comunità capace di ri-generare altre risorse locali: dalla ristrutturazione e pulizia delle case alla riscoperta di nuove vocazioni territoriali. Sono esperimenti naturalmente. Ma occorre trascinare i signori del silicio in progetti dove l’innovazione sociale “context dependent” mette al centro meccanismi di gestione delle attività e modelli di scaling delle economie che sono più radicati e specifici. Uno spazio dove il mutualismo dell’opzione cooperativa si trova forse più a suo agio nel mettere in atto la sua capacità di trasformazione sociale.
In Paesi come l’Italia, dove la cooperazione ha una forte tradizione, oltre al tennis, si deve giocare a squash: prima di arrivare in campo avversario la palla deve rimbalzare contro il muro. Ed è questa forse la sfida più importante che, fuor di metafora, si traduce nella necessità di ripensare il cooperativismo per affrontare le sfide e le opportunità poste dalle piattaforme. Non è un percorso facile però. Perché si tratta di far convergere due driver che procedono a velocità diverse.
Le piattaforme di sharing economy potrebbero rappresentare un veicolo di innovazione sociotecnologica per realizzare il principio del “concern for community”
Se “innovazione” fa rima con “dotazione tecnologica”, infatti, sono le stesse cooperative ad indicare una posizione ancora arretrata. Secondo un’indagine di qualche anno fa (Censis, 2011) solo il 9% delle cooperative italiane pensa che il proprio punto di forza in termini di competitività risieda nel “livello di innovazione tecnologica”. Se invece la stessa innovazione fa rima con l’ampliamento e diversificazione delle relazioni anche oltre la compagine dei soci allora il quadro è più positivo perché il 64% delle cooperative dichiara di essere competitivo sul fronte del “rapporto di fiducia con clienti e consumatori” e il 48,5% per quanto riguarda “il radicamento nel territorio”.
È chiaro quindi che le piattaforme di sharing economy potrebbero rappresentare un veicolo di innovazione sociotecnologica molto rilevante in particolare per realizzare il principio cooperativo del “concern for community”, anche considerando che, secondo i dati più recenti (Euricse, 2015) in Italia le imprese cooperative sono 70mila, con 130 miliardi di euro di giro d’affari (8,5% del Pil italiano) e 1,7 milioni di addetti e con un posizionamento molto consistente in alcuni ambiti molto significativi dell’economia nazionale come agroalimentare e welfare. Riposizionare in senso platform anche solo una parte di questo comparto significherebbe introdurre un’importante innovazione di sistema. Peccato però che, ad oggi, delle 125 piattaforme di sharing economy operative in Italia nessuna sia organizzata in forma cooperativa e anche a livello di funzionamento prevale l’efficienza del matching domanda offerta piuttosto che l’attivazione di meccanismi cooperativi di coordinamento grazie ai quali si condividono elementi esperienziali e di significato più profondi legati alle finalità dello scambio.
Per superare questo divario e accelerare la convergenza, il ministero dello Sviluppo economico ha lanciato un programma di “Promozione e sviluppo del movimento cooperativo” che sta finanziando prototipi innovativi. Tra questi, il progetto promosso da Lama Development and Cooperation Agency per la riorganizzazione dell’offerta di una cooperativa di taxisti attraverso una piattaforma digitale. Si tratta di un prototipo di cooperativa multistakeholder finalizzata a offrire un sistema di mobilità integrata in cui coesistono differenti tipologie di soci che partecipano alla vita della cooperativa attraverso la realizzazione di una pluralità di scambi mutualistici. Un altro studio di fattibilità supportato dal ministero e promosso da Confocooperative Lombardia interessa la tracciabilità dei prodotti alimentari e, in particolare, del famoso formaggio Grana Padano.
Si tratta di un progetto di filiera, che coinvolge più cooperative (di produzione materie prime agricole, di produzione e trasformazione di latte e derivati e di logistica e distribuzione) coinvolte nella certificazione Dop (Denominazione di origine protetta). La piattaforma di Big Data Management ed Erp consentirà a tutti gli attori della filiera lattiero-casearia di accedere e condividere un’ampia gamma di informazioni e conoscenze che riesca a guidarli sia da un punto di vista strategico e di efficienza produttiva, sia da un punto di vista della centralità del consumatore.
In sintesi: se negli Stati Uniti si parte dalle piattaforme per arrivare alla cooperazione, nella vecchia Europa la strada sembra segnata nella direzione opposta.
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