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“Sharia free zone”: in Texas è legge e cresce il consenso per la messa al bando dei musulmani

Il fatto che in Texas non vadano troppo per il sottile è cosa risaputa. Ma dopo la decisione di mettere giuridicamente al bando «ogni forma di legge islamica» anche la nota risolutezza texana è parsa eccessiva a molti, ma non a tutti. Soprattutto non ai texani.

di Marco Dotti

Da tempo i think tank conservatori parlano di una "penetrazione giuridica" islamica nelle corti di giustizia statunintensi e il dibattito, che va avanti da circa due anni – e si era finora tenuto sul piano locale – rischia adesso di rompere gli argini. I sondaggi vedono la maggioranza dei texani d'accordo con un eventuale messa al bando dei musulmani non cittadini americani.

A rivelarlo è un'indagine dell'Università del Texas a Austin. La combinazione tra la campagna presidenziale di Donald Trump e il voto per brexit nel Regno Unito ha riportato d'attualità un atteggiamento "nativista" nei settori del commercio, dell'immigrazione, della politica estera e del "divieto ai musulmani non cittadini di entrare negli Stati Uniti". Torna di moda anche il "muro", ipotesi che alcuni tra i più noti magnati del petrolio texani si sono detti ben disponibili a sostenere, anche economicamente.

Stando alla ricerca dell'Università del Texas, oltre il 76% degli elettori repubblicani dello Stato risulta d'accordo con la messa al bando dei musulmanti. Nel complesso, il 52% degli aventi diritto al voto è d'accordo con questa posizione, che sta guadagnando margini anche sul fronte democratico. Torniamo alla shari'a e alle polemiche a non finire fra conservatori e organizzazioni islamiche. A queste polemiche hae risposto nei giorni scorsi il procuratore generale Ken Paxton, ribadendo la liceità della decisione texana.

Una decisione che, di fatto, replica quella già accolta da altri 16 Stati americani.
I Tribunali texani non dovranno più far valere, nelle controversie, norme di diritto di famiglia provenienti da ordinamenti ritenuti in contrasto con questo divieto. Si tratta, nella sostanza, di una norma che, soprattutto in tema di separazioni e controversie matrimoniali, pone dei limiti alla discrezionalità dei giudici. Poco più che un caso di scuola secondo i critici, ma dall'effetto mediatico dirompente. Nessuno vuole vietare a nessuno di seguire i precetti religiosi del Corano, spiegava lo scorso anno la senatrice Donna Campbell, che chiariva: "vogliamo che non siamo applicate quelle decisioni prese da corti straniere che contemplano la shari'a come fonte di diritto positivo".

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