Mondo

“Sfido in mondovisione i loro maestri”. Come fermare i kamikaze

Pace addio? Intervista a Ernesto Olivero. "L’Europa deve imparare ad accogliere. Ma anche a pretendere reciprocità. Io devo potermi fare il segno della croce a Riad".

di Riccardo Bonacina

“Le mie parole nascono dal silenzio, dai fatti e dalle opere consumate senza clamori. Vede, questa notte all?Arsenale della pace hanno dormito 1.500 persone”. 63 anni, salernitano di nascita e torinese d?adozione, Ernesto Olivero non è un prete né un religioso. È marito, padre di tre figli (di 30, 35 e 37 anni), nonno (“sei nipoti di cui uno già in cielo”) e bancario in pensione. È lui a chiamarci in redazione, vuole parlare al popolo della pace: “Vorrei che in questo momento ci proponessimo con più convinzione e decisione con atteggiamenti, anche personali, adeguati”. I fatti di Ernesto Olivero sono davvero tanti: una Fraternità fondata nel 1964 e oggi riconosciuta dalla Chiesa (Ser.mi.g, Servizio missionario giovani) che ha lo scopo di “essere vicino all?uomo d?oggi e aiutarlo a incontrare Dio”, l?Arsenale della Pace, luogo di splendida accoglienza e di volontariato ricavato dal vecchio Arsenale militare di Torino, 1.700 progetti di sviluppo in 107 nazioni del mondo, l?incarico affidatogli personalmente dal Papa di essere ?amico fedele? di tutti i bambini abbandonati nel mondo. Fatti come la mediazione che permise, nel maggio 2002, di sbloccare l?occupazione della Basilica della Natività a Betlemme. Grazie al suo intervento 15 palestinesi lasciarono la Basilica per l?Europa e l?esercito israeliano tolse l?assedio durato settimane. “Le nostre parole arrivano dal silenzio di chi fa. All?Arsenale ci sono ebrei, musulmani, prostitute, bambini di strada, malati, c?è gente che scappa per motivi religiosi. Noi conosciamo le loro lacrime. Sa come iniziò? Tutto iniziò in un dibattito di 40 anni fa (a tema anche allora c?era la pace) quando un ragazzo salì sul palco e mi disse: “Tu, Olivero questa notte dove dormi?”. Passai quella notte nella stazione di Torino a dormire con lui, oggi dormo con altre centinaia di persone. Vita: Cosa vuol dire Olivero al popolo della pace? Ernesto Olivero: Che la costruzione della pace deve passare anche attraverso la mia mensa, attraverso i miei dieci vestiti. Bisogna cominciare a capire che la pace chiede atteggiamenti anche personali adeguati. Bisogna mangiare quello di cui si ha bisogno, non accumulare soldi, non sprecare risorse e acqua, avere i vestiti necessari. Chi vuole la pace deve cominciare a fare così. L?unico schieramento lecito è stare sempre dalla parte dell?uomo che nasce per poter vivere e non per morire. E per far vivere l?uomo bisogna mettersi in mezzo, più che schierarsi di qua o di là. Vita: Altrimenti la richiesta di pace rischia di diventare esercizio retorico e tranquillizzante? Olivero: La pace deve passare per la nostra mente, nella nostra preghiera, nel nostro portafoglio, altrimenti diventa retorica o il comodo stare dalla parte giusta; o almeno da quella che noi pensiamo essere la parte giusta. Se dico sì alla pace devo dirlo anche con il mio bilancio, con il mio stile di vita. Non possiamo pensare che le 40 guerre in corso e le 30mila persone che ogni giorno muoiono di fame, siano solo dati statistici. No, sono uomini e donne come noi, che erano nate per vivere. Non possiamo più ripetere l?errore di Genova. Vita: Cioè? Che errore è stato commesso? Olivero: Genova 2001 è stata una grande occasione perduta. Che tristezza, la gente stava per capire, persino i giornali erano attenti. Ero lì a piedi scalzi insieme a tantissimi ragazzi, abbiamo pregato con migliaia di persone a Boccadasse mentre i potenti della terra erano blindati nella zona rossa. Ma chi dirigeva le manifestazioni cercava uno scontro, e nello scontro vince sempre la violenza. Che occasione perduta! Chi vuole la pace non cerca mai lo scontro ma il dialogo. Lo scorso 5 ottobre a Torino abbiamo radunato 100mila giovani, senza star, senza pubblicità. Nessuno ne ha parlato, se avessi insultato qualcuno, o se qualcuno tra i ragazzi avesse rotto una vetrina, avremmo avuto le prime pagine, invece noi abbiamo persino pulito le strade dopo averle occupate. E naturalmente non è uscita neppure la notizia. Chi chiede la pace cercando lo scontro è buono per i giornali, ma aggiunge odio all?odio. Vita: E di odio ce n?è in giro sin troppo? Olivero: Intorno a noi c?è un odio terrificante e allora, chi vuole costruire la pace, deve pur porsi qualche domanda. La pace non guarda in faccia nessuno, non si possono far sconti a nessuno. Non possiamo far finta di niente davanti ai ragazzi che scelgono di diventare kamikaze. Dobbiamo cominciare a capire perché nei Paesi islamici si esprime una tale quantità d?odio. E chiedere ai Bin Laden di turno perché non hanno impiegato le loro enormi ricchezze per favorire sviluppo, educazione, acquedotti. Chiederei agli amici musulmani perché non si mettono in collegamento con noi che davvero vogliamo cambiare le cose. Vita: Ma è possibile dialogare con un kamikaze? Olivero: Io non saprei come parlare a un kamikaze, ma vorrei tanto parlare con quelli che l?hanno istruito. è ingiusto, immorale, assassino, allenarli a pensare di diventare eroi in questo modo. Con quelle persone pseudo religiose o pseudo patriottiche che comprano la loro vita e quella di tanti innocenti per 8mila euro; con loro sì farei un dibattito in mondovisione. È assurdo usare la parola Dio per mandare al massacro dei giovani che massacrano altri giovani e altre vite innocenti. Soprattutto quando ciò è fatto in nome di Dio. Dio che è il nome della vita, della misericordia, mai dell?assassinio. Vita: Come dialogare con l?Islam? Olivero: Chiedendo di mettere al primo posto la coscienza. Dobbiamo urlarlo anche ai fratelli musulmani. Noi abbiamo una rete importante di contatti con tanti di loro, e anche con loro vogliamo lanciare l?Università del dialogo che nasce dal dubbio, così si chiamerà. Perché il dialogo avviene quando si è disposti a cambiare idea, quando ci si siede intorno a un tavolo per questo. Il dialogo è tra chi si mette in discussione. Con l?Islam dobbiamo avere una fermezza di ragionamento: dobbiamo chiedere che firmino la Carta dei diritti dell?uomo, dobbiamo insistere sulla parità tra uomo e donna, ecc. Il dialogo prevede che ognuno metta sul tavolo le proprie ragioni. Non c?è dialogo se qualcuno le nasconde. Vita: Una scommessa durissima. L?Europa potrà avere qualche ruolo in questo? Olivero: L?Europa non sta facendo nulla. Non gioca nessun ruolo. Né sul versante dell?accoglienza né su quello dell?integrazione. L?Europa oggi non fa un ragionamento sull?immigrazione. La politica è come se evitasse di ragionare su questo problema, e allora veicola solo passioni, accoglienza o repressione. A Torino noi abbiamo aiutato i nostri amici islamici a costruire la loro prima moschea. Ma io devo anche poter andare nei loro Paesi e farmi il segno della croce senza aver paura. L?Europa deve imparare ad accogliere ma deve anche pretendere (anche con proteste ufficiali e puntuali di fronte alle discriminazioni), con pazienza e risoluzione, con serenità ma con forza. Vita: Lei chiede il cambiamento dei cuori. Non è un cammino troppo lungo? Olivero: L?educazione dei cuori non è mai un cammino troppo lungo. è l?unico che valga la pena fare. La commozione è una cosa immediata che scompagina tutto, all?istante. Dobbiamo alimentare la capacità di commozione che c?è in noi.


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