Si arriva fino a ottocentomila euro per un ettaro di barriera corallina, partendo da meno di novemila per qualche ettaro di costiera meno pregiata. Quotazioni interessanti, ma di cosa? Sono i guadagni derivanti da operazioni di ripristino ambientale, calcolati da TEEB un prestigioso centro di ricerca (e di lobby) e pubblicati in occasione della scorsa giornata dell’ambiente. Gli algoritmi tengono conto di una gran quantità e varietà di variabili: dai benefici per la salute, all’indotto turistico fino alla qualità della vita in generale. Tutto tradotto, alla fine, in soldoni perché queste misure non sono solo per ong ambientaliste o cooperative locali (il loro saldo l’hanno già calcolato) e neanche per imprese for profit in vena di responsabilità sociale. E’ green business. Tanto che lo stesso TEEB ha lanciato una banca del capitale naturale che vuole misurare il valore economico degli ecosistemi e della biodiversità. Perché, come dicono in home page, la natura si degrada e si degraderà sempre più finche non se ne prezzerà il costo o, meglio, il valore dall’integrità. Il passaggio è presto fatto: quanto impatta in termini economici la presenza di un asilo nido sull'”ecosistema” sociale? l’assistenza gli anziani? un centro giovanile? E il soggetto gestore – pubblico, privato, for e not for profit – fa la differenza? Tematica altrettanto rilevante che mobilità non poche energie di ricerca. Al prossimo Colloquio Iris Network sull’impresa sociale saranno presentati diversi paper sull’argomento. In campo sociale però gli indicatori non sembrano ancora ben definiti ed efficaci come nel settore ambientale. Le metodologie più in voga puntano su gruppi di indici in grado di misurare il “valore aggiunto“, ma qualche imprenditore sociale, evidentemente già scottato da un eccesso di informazioni, propone di elaborare un indicatore sintetico, fortemente sbilanciato sul lato economico / imprenditoriale, da corredare eventualmente con altri dati. Il tutto in un’ottica di sostenbibilità, anche dei sistemi informativi che sono spesso farraginosi e pesanti da gestire. E considerando inoltre l’efficacia di misurazioni che dovrebbero cogliere il valore in sé del bene e non tanto le sue “esternalità”. Un pò come riuscì a fare, ormai più di dieci anni fa, una ricerca su costi e benefici dell’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate che misurò il risparmio netto per la Pubblica Amministrazione: qualche migliaio di euro derivanti dal fatto che le persone reinserite pagano le tasse e non generano ulteriori costi al sistema dei servizi sociali. Certo, non si fa inserimento lavorativo solo per risparmio economico, ma il dato è una solida base statistica (e di policy making) sulla quale innestare altri indicatori. Qualche giorno fa leggevo di un seminario organizzato dall’Università di Trento dove, fra l’altro, si discuteva su come rendere più “sexy” la ricerca per le imprese (e in generale per la committenza pubblica o privata che sia). Ecco, forse al Valore Aggiunto Sociale e ai suoi fratelli indicatori manca proprio questo aspetto.
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