Mondo

Settore privato e società civile: una riflessione

di Sergio Marelli

Lo scorso 23 e 24 settembre a Ginevra, le Organizzazioni di Società Civile internazionale hanno adottato una dichiarazione presentata al Open-Ended Working Grouporganizzato da FAO e OMS avente per obiettivo l’accordo sulla Dichiarazione Politica per la seconda Conferenza Internazionale sulla Nutrizione (ICN2) che si terrà a Roma dal 19 al 21 Novembre. Il messaggio principale contenuto nel Consensus Statement delle OSC è l’invito pressante ai Governi per assumere una forte  leadership per identificare  come affrontare alla radice le cause dei vari  aspetti della malnutrizione e della fame nel mondo nonché ad adottare un approccio basato sui diritti umani per il cibo e la nutrizione  in modo da garantire i diritti delle popolazioni e delle comunità più colpite dalle diverse forme di malnutrizione e per essere al centro delle politiche relative all’attuazione dei risultati del ICN2, nel rispetto dei diritti umani internazionalmente riconosciuti. Richieste queste, che sottolineano ancora una volta come la tendenza maggioritaria di affrontare il problema della fame nel mondo con strategie filantropiche ed assistenzialistiche, cioè senza aggredire le radici dei problemi e le politiche ingiuste che ne sono la fonte perpetua, debba essere sostituita da coraggiose e urgenti misure strutturali trasversali ai diversi settori delle politiche estere degli Stati.

Purtroppo, tra i più acerrimi oppositori a questa prospettiva si deve annoverare la Unione Europea che con l’intervento al tavolo negoziale del suo rappresentante ha richiesto la rimozione dal testo di ogni riferimento in merito agli impatti del commercio e delle sue politiche sulle condizioni di malnutrizione delle centinaia di milioni di persone che ancora soffrono la fame. Una posizione che sa di asservimento alle grandi multinazionali dell’agro business sebbene confutata da evidenti dati che da tempo dimostrano chiaramente come le cause della fame nel mondo derivino per l’appunto da politiche commerciali orientate al profitto non curanti dei diritti delle persone.

Ma ciò che potrebbe passare in secondo piano è un ulteriore richiesta inserita nella Consensus Statement con la quale le OSC presenti hanno fortemente richiesto di essere riconosciute come gruppo a sé stante, distinto dal settore privato i cui interessi  tendono ad essere orientati a rafforzare i valori di mercato all’interno della sfera dell’alimentazione e nutrizione  e a massimizzare i profitti. Una posizione chiara e netta che sembra però andare controcorrente, almeno stando a quanto registrato con insistenza nei recenti dibattiti tra società civile italiana e governo in occasione della riforma della legge di cooperazione. L’insistenza con la quale la nuova legge, e i nuovi trend della politica estera italiana, tendono ad associare il settore privato e le OSC nazionali, il tutto in vista di una maggior efficacia di intervento e di un omnicomprensivo “sistema Paese”, potrebbe trovare un buon punto di approdo e un nuovo slancio ideale proprio partendo da questa distinta presa di posizione delle consorelle impegnate sul fronte agricolo-alimentare.

Rifuggendo preclusioni e pregiudizi nei confronti del settore privato, che non mi sono mai appartenuti, ritengo tuttavia che una più chiara e praticata distinzione tra soggetti con obiettivi e principi così diversi non possa che giovare all’individuazione delle migliori sinergie a vantaggio di una più incisiva azione di cooperazione allo sviluppo. Sapendo che, se si vuole agire per il meglio, il “camaleontismo” di chi tenta di mimetizzarsi in abiti e compiti altrui ha già ampiamente dimostrato tutta la sua problematicità.

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