Welfare

Settimo posto. Candido Cannavò, giornalista. L’uomo che dà un nome ai numeri

Con il suo Libertà dietro le sbarre, l’ex direttore della Gazzetta dello Sport è entrato nel carcere di San Vittore e ha raccontato le storie di persone vere (di Sergio Segio).

di Redazione

Parlando di carcere, inevitabilmente si finisce per parlare di cifre, perché in maniera più appariscente testimoniano del fallimento delle politiche (e delle culture) con cui (non) si fa fronte alla questione penale e a quella dell?esclusione sociale. Cifre, peraltro, assai poco note: siamo infatti arrivati alla notevolissima cifra di 175mila persone sottoposte a misure penali: 55mila sono quelle mediamente presenti in carcere in un qualsiasi giorno dell?anno, cui ne vanno sommate 30mila in affidamento sociale e 15mila in detenzione domiciliare, nonché altre 75mila, già condannate, in attesa di misura alternativa ai sensi della legge Simeone-Saraceni. Numeri quadriplicati dall?inizio degli anni 90, quando in carcere vi erano meno di 30mila reclusi e in affidamento sociale meno di 4mila. Del resto, come ha ammesso (anzi, rivendicato) il ministro Castelli, la tendenza e il modello seguiti sono quelli Usa, dove le cifre sono le più alte nel mondo: due milioni in carcere e altri cinque sotto controllo penale all?esterno. La legge Cirielli-Vitali, con la sua logica del ?tre reati e sei spacciato?, recentemente approvata dalla Camera, è un ulteriore passo in questa direzione. Una logica sostanzialmente condivisa sia dal centrodestra che dal centrosinistra. I numeri dunque sono importanti per capire lo sfascio e l?ingiustizia del pianeta carcere e, all?opposto, quanto di radicalmente diverso occorrerebbe fare. Ma altrettanto lo sono i volti, i nomi, le storie di chi nelle celle vive, e spesso muore. Candido Cannavò, con il suo libro Libertà dietro le sbarre – Cronache da un carcere. La vita, la pena, la speranza ha dato un raro, e dunque ancor più prezioso, contributo a raccontare chi c?è dietro quelle alte e impenetrabili mura. Donne, bambini, giovani e anziani: una folla di sommersi, di senza giustizia e troppo spesso senza alternative e opportunità. Un campionario di umanità dolente e bistrattata. Restituire loro, come Cannavò ha fatto, la dignità di essere considerati individui e non numeri, persone e non problemi, vite, con tutti i loro errori, le sfortune, i sogni e i bisogni, e non anonimi prodotti di quella impietosa macchina schiacciasassi che è il sistema penale e giudiziario, è opera non solo meritoria in sé ma anche utilmente smitizzante. Capace di incrinare il muro della paura, assai più robusto di quello che cinta le prigioni, costruito mattone dopo mattone dal pregiudizio e dall?indifferenza sociale. Dalla non conoscenza e, quindi, dal rifiuto. Ma oltre che per il suo libro, per la sua potente capacità di comunicare e modificare i luoghi comuni dell?opinione pubblica, di riavvicinare i lembi dell?umanità di ciascuno aiutandolo a riconoscere l?umanità di qualsiasi altro, credo che Cannavò meriti l?Oscar del sociale 2004 anche perché ha saputo dire, in quest?anno, alcune piccole verità, solitamente occultate. Ne ricordo in particolare due. Quando, intervistato da Vita, ha definito l?indultino «una presa per il culo» e quando ha affermato che, di cose del carcere, il ministro della Giustizia pare non saperne granché.

Sergio Segio

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