All’inizio è stato il film “Quasi amici”. Bellissima storia, che emoziona, fa ridere e piangere, riempie le sale in Francia e ora anche in Italia. Poi le parole, che ho scritto nel blog “InVisibili” di corriere.it, a proposito del film. Poi un altro commento, di un collega giornalista paraplegico, Simone Fanti, che nel medesimo blog dà spazio a una lettera molto particolare, di una donna che racconta la storia di un ragazzo disabile e di sua madre, sorpresi in una casa per appuntamenti da una retata della polizia. A questo punto una valanga di commenti dei lettori dell’edizione on line del Corriere, record assoluto per i blog del quotidiano.
Io rilancio, pubblicando nel blog un capitolo del mio libro Io sono così, nel quale raccontavo, con la massima delicatezza possibile, la storia antica del mio unico rapporto sessuale a pagamento, a Padova, tanti anni fa. Non l’avessi mai fatto. Una schiera di benpensanti, uomini e donne, quasi tutti rigorosamente anonimi, ha cominciato a tuonare, immaginando che la nostra fosse una specie di campagna (ma perché mai?) a favore della riapertura delle case chiuse. Guardare il dito e non vedere che sta indicando la luna. È sempre la stessa storia, da tempo immemorabile. Quando si affronta il tema della sessualità ? non dico dell’amore ? delle persone disabili, la gente si gira dall’altra parte. Non vuol capire, non vuol sentire. Applica subito categorie morali, parla per sentito dire, pensa di sapere e di conoscere. E invece la realtà, dura e difficile da risolvere, e perfino da affrontare, è che una delle conseguenze più discriminanti della condizione di disabilità è proprio quella dell’impossibilità, o quasi, di normali relazioni affettive, e anche di normali relazioni sessuali. Un tema che le famiglie conoscono bene, ma per pudore, comprensibile, nascondono dietro la porta di casa. Ma esiste, e forse dovremmo parlarne di più. Senza ipocrisia.
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