Giovani

Servizio civile universale, quegli abbandoni che ci interrogano

Il dato emerso dalla relazione al parlamento, relativo alla percentuale (nel 2022 oltre il 27%) di persone che abbandonano il Scu, in costante crescita da anni, necessita di un’analisi approfondita. Ne abbiamo parlato con Laura Milani, presidente della Conferenza Nazionale degli Enti per il Servizio Civile- Cnesc, che sottolinea la necessità non solo di entrare nel dettaglio delle ragioni, ma anche di un’azione coordinata di rilancio, a partire dai fondi dedicati

di Antonietta Nembri

Difficile trovare un perché da alcuni anni la percentuale di giovani che abbandonano il Servizio civile universale è costantemente intorno al 25%, nel 2022 si è arrivati a oltre il 27%. «Senza un’analisi più dettagliata che nella relazione predisposta dal dipartimento non c’è, si rischia di esprimere solo opinioni», premette Laura Milani, presidente della Conferenza Nazionale degli Enti per il Servizio Civile- Cnesc.

Tuttavia un’ipotesi su quali possano essere le ragioni per cui uno su quattro abbandona – al nord addirittura il dato supera il 38% – l’avete fatta?

Milani – Sono più che altro interrogativi. È la tempistica dei bandi che non si allinea con i tempi dei giovani che vanno da settembre a settembre, mentre il bando esce tra dicembre e gennaio con gli avvii tra maggio e giugno? o ancora, è una questione di distribuzione territoriale? o il problema è il settore? Purtroppo non conoscendo a fondo le motivazioni è difficile porre rimedio. Ci si deve anche chiedere se i giovani hanno chiaro il fatto che si tratta di un’esperienza unica anche in termini di formazione? Insomma, siamo davanti a domande che hanno bisogno di una risposta puntuale.

Laura Milani

A chi guarda i dati viene da chiedersi se per caso si tratti del fatto che forse chi abbandona aveva altre aspettative, anche guardando al fatto che quasi la metà abbandona dopo pochi mesi…

È da un po’ di tempo che come enti il nostro punto fermo è la necessità di rilanciare il Servizio civile universale sia come promozione sia come comunicazione. Occorre entrare nelle scuole, formando anche gli insegnanti sul Scu, si dovrebbe investire sui percorso di cittadinanza attiva, far crescere la cultura dell’impegno e questo avrebbe anche delle ricadute positive sul mondo del volontariato.

Nelle motivazioni vi è, soprattutto al Nord, il non riuscire a far conciliare il Scu con studio e lavoro, ma anche l’aver trovato un’occupazione. Come spiega questo?

Se io presento il Scu come un percorso lavorativo, una logica conseguenza è che se io trovo un’occupazione più remunerativa è logico che uno lasci. Ma se si punta sul fatto che è un’esperienza unica e personale di impegno civico, se si punta a far comprendere che si tratta di dare un senso diverso a un anno della propria vita, allora è chiaro che un giovane faccia delle valutazioni diverse quando fa domanda. Anche questo ci fa dire come enti che occorre rilanciare la promozione del servizio civile non solo con eventi spot, ma anche con una comunicazione non ambigua…


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In che senso?

Negli anni passati il servizio civile veniva presentato come un’esperienza professionalizzante, puntando soprattutto su questo aspetto. Vedo positivamente il fatto che, per esempio, il ministro Abodi ha rilanciato molto la parte valoriale dell’esperienza. Sicuramente l’acquisizione di competenze spendibili nel mondo del lavoro è un valore, ma l’enfasi su questo aspetto ha un impatto che paradossalmente rischia di snaturare lo spirito del Servizio civile.

Nelle proposte che avete presentato in occasione del Festival nazionale si sottolinea molto la necessità di stabilizzarlo…

C’è tutto il tema delle risorse che oggi è davvero importante, stiamo tornando a una stagione di precarietà per il Scu: nella legge di bilancio si prevedono solo 150 milioni di euro per il Servizio civile universale, se non sarà aumentata questa cifra potranno essere avviati solo 20mila giovani, a fronte di progetti da parte degli enti per l’ultimo bando con una capienza di 80mila posti. L’ultimo bando, il 2023, aveva 45mila posizioni aperte.

Quindi nelle vostre proposte avete chiesto più fondi?

Sì, anche se non è la sola questione che abbiamo affrontato. Per il 2024 come Cnesc abbiamo chiesto un investimento importante: 280 milioni di euro che permetterebbero di avere 60mila invii nazionali e 1.500 all’estero, così da dare continuità, cosa che farebbe crescere il sistema anche a livello di qualità. Se si riconosce il valore sociale ed educativo di questo istituto occorre dargli stabilità. E lo si deve fare anche attraverso un lavoro culturale che deve crescere.

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