Cultura

Servizio civile, quanto ci servi…

anticipazioni Guglielmo Minervini, assessore alle Politiche giovanili della Puglia, su «Communitas»

di Redazione

Oggi i giovani stanno perdendo il contatto con la realtà. E questa «è l’unica esperienza in cui il ragazzo esce dal suo punto narcisistico di osservazione per collocarsi in un altro punto della società» Quella che proponiamo è una sintesi dell’intervento che Guglielmo Minervini , assessore alle Politiche giovanili, alla trasparenza e cittadinanza della Regione Puglia, firma sul prossimo numero di Communitas (intitolato «Educare nella modernità – esperienze, testimonianze, confronti e pensieri») in uscita con il prossimo numero di Vita magazine .

I l meglio di noi si dà in quell’arco di età che va dai 25 ai 35 anni. Se ciascuno di noi ritorna indietro biograficamente alla propria storia sa che questo è vero. Quello che noi non stiamo facendo è il confessare che il nostro Paese sta sperperando la risorsa sociale più pregevole di cui dispone.
Qui emerge il tema che entra più in contatto con la sfida del servizio civile, con l’eresia che l’esperienza del servizio civile ha rappresentato per le culture dominanti: questo è un Paese in cui un’intera generazione, oggi, sta emergendo priva di una reale esperienza di contatto con la realtà. Ciò si traduce dunque in una disperata povertà di senso sociale, di legami solidali, di responsabilità. Senza tutto questo non c’è più la comunità, non c’è più il Paese, non c’è più una società. Il servizio civile, oggi, rappresenta l’unica esperienza nella quale è possibile recuperare, sperimentare e vivere questa dimensione sempre più costitutiva di “cittadini che sappiano stare al mondo”. È l’unica esperienza in cui il ragazzo, ad un certo momento del suo percorso di crescita, esce dal suo punto narcisistico di osservazione (fondato sulla carriera, sulla costituzione del proprio percorso individuale) per collocarsi in un altro punto della società e guardarsi. È una delocalizzazione salutare, perché il giovane ha la possibilità di mettersi alla prova: nel farlo scopre i propri limiti ma anche i propri talenti. In una parola, cresce. C’è una tenaglia che sta stringendo l’esperienza del servizio civile assottigliandone il profilo di qualità educativa: da un lato ci sono gli enti (vi dico queste cose dal mio punto di osservazione, di persona che svolge una funzione pubblica e prova a ragionare in termini di politiche pubbliche sviluppabili attorno a questo tema; lo dico, quindi, con il massimo atteggiamento costruttivo) che vedono nel servizio civile un surrogato di lavoro socialmente utile; vengo dalla Puglia, dal Mezzogiorno, una realtà geografica dove questo fenomeno non è affatto marginale. Ma la Sicilia, ad esempio, con i suoi 11mila volontari del servizio civile, non so quanto ne sia immune.
L’altro dente della tenaglia attraversa gli enti pubblici, attraversa lo smantellamento del welfare, cui disperatamente gli enti pubblici stanno tentando di far fronte con ogni mezzo possibile. Il servizio civile rischia così di diventare uno di questi mezzi. Difendere il servizio civile, e in generale la centralità del ragazzo, il suo diritto a custodire integro il valore dell’unica offerta possibile di quel tipo di educazione alla dimensione sociale, è sempre più difficile. Non credo basti un gioco in difesa. Occorre, appunto, alzare lo sguardo e guardare lontano. Bisogna provare a rilanciare. Abbiamo bisogno di scommettere sul cambiamento del servizio civile: per conservarne il valore, lo spirito autentico.

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Cara lettrice, caro lettore: il 25 e 26 ottobre alla Fabbrica del Vapore di Milano, VITA festeggerà i suoi primi 30 anni con il titolo “E noi come vivremo?”. Un evento aperto a tutti, non per celebrare l’anniversario, ma per tracciare insieme a voi e ai tanti amici che parteciperanno nuovi futuri possibili.