Formazione
Servizio civile, prove tecniche di alleanza
I rappresentanti degli enti a confronto in redazione
di Redazione
Perché occorre una nuova legge? E quali sono i punti di contatto fra le esigenze degli enti? Quello che leggete è l’esito di un “faccia a faccia” franco e per certi versi sorprendente.
Ma soprattutto condiviso anche su questioni calde come il co-finanziamento e il rapporto Stato-Regioni
Sono due i temi forti della discussione di oggi. Il primo punto è sintetizzabile in questa domanda: perché è necessairo riformare il servizio civile?
Cavalletti: Le nostre ragioni non sono le stesse ragioni che ispirano la riforma da parte della politica. La riforma però è necessaria, innanzitutto perché fino ad ora il braccio di ferro Stato-Regioni non ha fatto altro che creare difficoltà: l’attuale sistema però è eccessivamente conflittuale anche dal punto di vista del rapporto fra gli enti. I progetti vengono valutati, finanziati o esclusi, mettendo in concorrenza gli enti, ma non garantendo l’equità. La distinzione degli albi genera valutazioni differenti anche di progetti del tutto simili e presentati sullo stesso territorio. Poi c’è tutta la partita del ruolo degli enti di terzo settore e di quelli pubblici. A nostro avviso l’ente locale oltre a partecipare al sistema dovrebbe accollarsi l’onere, per quanto attiene il territorio di competenza, di promozione del servizio civile. Serve anche una messa a punto delle finalità e dei settori di intervento, magari precisandoli meglio. Poi c’è lo status del volontario. Va sancito una volta per tutte che il volontario ha una sua identità ben definita e autonoma da tutto il resto. Non può essere equiparato ad altre collaborazioni professionali o al puro volontariato. Poi crediamo che sia importante rimettere a fuoco il discorso dell’accesso. Forse è il caso di verificare se non sia possibile aprire anche a categorie che oggi sono escluse come immigrati e detenuti in pena alternativa per i quali potrebbe essere un’esperienza importante.
Di Blasi: Non sono passati molti anni da quando io sentivo alti dirigenti dell’Unsc dire che il servizio civile doveva comunque crescere a livello di numeri e di posizioni perché questo lo rendeva un fenomeno importante da un punto di vista politico. Questa crescita si è portata dietro alcuni mali che abbiamo in Italia. Il primo è il parassitismo, ovvero un servizio civile che si è allontanato dalle attività legate alla crescita formativa dei giovani o al benessere dei territori, ma che è diventato un fenomeno di salario. Il tutto in mancanza quasi totale di sistemi di controllo. E a questo si è affiancata, soprattutto negli ultimi due anni, una oggettiva disparità nella distribuzione delle risorse. A scapito del Nord. Non solo è vero l’appunto di Cavalletti sui criteri aggiuntivi regionali. C’è di più – e lo ha detto Giovanardi in parlamento affermando che « Vicenza non ha le stesse problematiche di Palermo. È chiaro che è necessario destinare le risorse in misura diversa a seconda delle esigenze» – si stanno adottando criteri di valutazione diversi da quelli dichiarati. Una riforma diventa necessaria perché si deve affrontare il problema delle risorse. Noi pensiamo che queste risorse debbano venire da tutti gli attori o almeno deve essere data la possibilità ai territori di decidere se le risorse devono provenire da tutti gli attori. Una seconda questione è quella legata alla distribuzione territoriale delle risorse. Dobbiamo avere dei criteri oggettivi che garantiscano il diritto alla formazione per tutti i giovani indipendentemente dalla regione in cui vivono.
Armelloni: Il ddl Giovanardi è una legge delega e quindi deve essere anche riempita di contenuti e nuovi elementi. Partirei da qui. E su questo punto il dibattito deve diventare prima di tutto libero e poi condiviso. In pochi se ne sono accorti, ma esiste uno strumento importante di cooperazione – sto parlando della sentenza della Corte costituzionale 58 del 2007 – che aveva con grande precisione creato il clima per un rapporto e un’intesa tra Stato e Regioni. Uno schema potrebbe essere: lasciare a livello nazionale i settori della protezione civile, emergenze e cooperazione internazionale, e passare al regionale il welfare, la tutela ambientale e gli interventi di ordine culturale. Questo è il punto e lo spirito dal quale ripartire. E poi perché non far diventare il servizio civile parte integrante della formazione obbligatoria dei giovani?
Longoni: La collaborazione fra Roma e le Regioni è un tema cruciale. Il modello che propongo è quello delle politiche giovanili. Ogni Regione si sieda al tavolo con l’Ufficio nazionale e definisca quali sono i criteri e i punti su cui sviluppare il servizio. In questi accordi potrebbero essere previste quote di co-finanziamento.
Palazzini: Faccio una premessa necessaria: una cosa è parlare di riforma con un budget di 287 milioni di euro, altra cosa è parlarne con uno di 125 milioni. Lo smantellamento progressivo del sistema è dietro l’angolo: il rischio quindi è che la riforma legislativa, senza strumenti e fondi per metterla in pratica, si accompagni ad un de profundis di fatto del Scn, almeno come lo vorremmo. Quindi il primo passaggio dovrebbe essere la stabilizzazione dell’istituto, un istituto che promuove l’educazione alla pace, alla nonviolenza e all’impegno civico dei giovani. Il terzo settore dovrebbe impegnarsi in una battaglia sul modello di quanto sta avvenendo per il 5 per mille. Capitolo co-finanziamento. Possiamo parlarne, ma a due condizioni: che l’assegno mensile sia comunque alimentato da risorse pubbliche (mentre ci sono capitoli come l’informazione, la promozione, il monitoraggio e la rendicontazione sulle quali è lecito chiedere forme di compartecipazione) e che sia indicato un contingente minimo, che possiamo individuare in 40mila unità.
La seconda questione che volevamo affrontare è la costruzione di una piattoforma comune. Da quali basi partire?
Longoni: Il primo punto che vedo è il co-finanziamento. Per venire incontro alle esigenze della Cnesc e delle realtà territoriali credo valga la pena evitare la distinzione sulle voci di spesa. Se uno co-finanzia, co-finanzia una quota dell’intero progetto. Ovviamente se l’ente decide di metterci del suo dovrà poi essere in grado di fornire i giustificativi delle spese sostenute.
Cavalletti: Mi sembra una buona impostazione di partenza, ma la cosa importante è che non vi sia contribuzione da parte degli enti ai costi dell’indennità mensile. Aggiungo che un altro punto di contatto è il tema della distribuzione territoriale, lanciato da Mosaico. Fondamentale anche la definizione di un livello minimo di volontari che stabilizzi il servizio civile. E infine mi pare irrinunciabile per tutti noi che la gestione del sistema sia condivisa fra Stato centrale e Regioni. Poi sulle competenze specifiche occorrerà approfondire.
Armelloni: Concordo pienamente che la cornice dentro cui lavorare sia quella della cooperazione fra il centro e la periferia.
Palazzini: Fra i punti di possibile concordanza ne metterei due culturali. Uno: è necessario che in questo Paese dove c’è una legge statale, e quindi è lo Stato che si assume la responsabilità di dare l’opportunità ai giovani di fare il servizio civile, l’investimento sul servizio civile prescinda da ogni valutazione lavorativa, fiscale e monetaria. Secondo: il servizio civile deve essere centrato sui giovani. Quindi i bisogni del territorio e delle comunità e delle organizzazioni sono successive a quelli dei volontari.
Di Blasi: La logica deve essere quella del federalismo solidale, basato su criteri oggettivi come il numero dei ragazzi residenti su un determinato territorio. Mi sembra difficile che lo Stato sia in grado di mettere sul piatto risorse aggiuntive. Più facile il coinvolgimento delle Regioni. A cui però – lo dico chiaramente – occorre dare in cambio un peso nella valutazione almeno pari a quella che hanno oggi. Ma se vogliamo raggiungere un certo dimensionamento e se questo non è raggiunto con risorse pubbliche, qualcun altro dovrà aggiungere la differenza. Parte della differenza potrà derivare dalle spese dimostrate: porto la fattura che dimostra che io ho investito. Questo va bene, il problema però è che con la fattura non si fanno partire le posizioni.
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