Welfare
Servizi per l’impiego, il non profit si è messo al lavoro
Un decimo dei soggetti accreditati è senza scopo di lucro. Un trend in crescita che apre un nuovo fronte per il Terzo settore. L'inchieste e le tabelle con tutti i numeri
I pionieri. I primi esploratori. Le avanguardie che hanno varcato la frontiera. Sono le organizzazioni del non profit, poco meno di un’ottantina, che hanno ottenuto l’accreditamento per svolgere i servizi per l’impiego. Per incrociare, in sintesi, domanda e offerta di occupazione. Davanti a loro si stende una terra sconfinata. Una prateria in cui c’è posto per tutti. Per chi vuole coltivare uno o più campi di intervento: informazione e accoglienza, presa in carico, orientamento, accompagnamento al lavoro e, last but not least, la sfida più impegnativa: l’incontro appunto tra chi cerca e chi mette a disposizione occasioni di lavoro.
Secondo l’Isfol, che ha effettuato il primo monitoraggio ad hoc, nel 2015 le “agenzie” del Terzo settore accreditate sono state 78 su un totale di 800 (enti pubblici e privati riconosciuti). Una su dieci, in pratica. L’accreditamento, previsto dal cosiddetto “decreto Biagi” (decreto legislativo 276/2003) e modi- ficato poi con il “Jobs Act” (legge delega 183/2014) e con il successivo decreto legislativo 150/2015, è rimasto per molto tempo nel cassetto. Basti pensare che nel 2010, sette anni dopo l’introduzione, lo avevano disciplinato (ma non sempre reso operativo) solo sette Regioni: Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo. È stata la volta poi di Piemonte, Puglia, Sardegna (2012), Campania (2013), Calabria, Lazio, Mar- che, Valle d’Aosta, Molise e Provincia di Trento (2014) e, un anno dopo, la Sicilia. Un’accelerazione favorita dalla necessità di dare attuazione al Programma nazionale Garanzia Giovani. Diciotto Regioni dunque in totale fino al 2015, anno preso in considerazione dal report.
L’Isfol ha disaggregato per Vita i dati territoriali sulle compagini del privato sociale che si sono cimentate con questa nuova sfida. Ebbene, al primo posto c’è il Veneto con 21 organizzazioni non profit, seguito da Lombardia (14) e Mar- che (12). Fanalini di coda la Provincia di Trento e la Sardegna, che per il momento contano soltanto due enti del Terzo settore, e il Lazio uno.
«Gli enti senza scopo di lucro censiti sono molti di più in realtà perché comprendono anche gli enti di formazione. I 78 indicati sotto la voce “Terzo settore” sono, in particolare, le organizzazioni che operano nell’ambito del sostegno alle fasce deboli e ai soggetti svantaggiati», precisa Guido Baronio, il ricercatore che ha curato l’indagine. Accreditati, altra puntualizzazione necessaria, significa che sono iscritti all’Albo ma non è che siano già attivi sul mercato. I nomi, per citare solo alcuni, vanno dal- la cooperativa sociale piemontese “Anteo” all’associazione di promozione sociale campana “Chirone”, dal Consorzio di cooperative sociali “Co&So” di Empoli alla sezione “Anfass” di Cagliari.
L’ingresso “ufficiale” nel mondo dell’intermediazione ha rappresentato per molti di questi organismi la prosecuzione di un compito svolto da sempre in via ufficiosa. Ora, con l’iscrizione all’elenco, possono anche accedere ai fondi e ai progetti per le politiche attive. «Le cooperative da quando esistono offrono opportunità di lavoro ai propri soci. Occuparsi di lavoro è nel loro dna. In un momento in cui, peraltro, il concetto di fascia debole si è allargato, sia in termini numerici sia in termini di tipologie di persone interessate, diventa quasi naturale per il privato sociale prendersi carico delle nuove fragilità», fa notare Stefano Radaelli, direttore di “Mestieri Lombardia”, il consorzio di Cgm che si occupa di servizi per il lavoro. L’esperienza e la maggiore sensibilità maturate consentono da un lato di supplire la minore preparazione che gli uffici pubblici hanno nell’approccio con i soggetti deboli, dall’altro di offrire una chance in più ai soci e agli utenti del Terzo settore. «C’è un’utenza più problematica che fa fatica a muoversi nei Centri per l’impiego. Non sa cosa deve fare. Noi la aiutiamo a stendere un curriculum vitae o a elaborare il bilancio delle competenze. È noto, del resto, pensiamo alle persone tossicodipendenti, che il rischio di ricadute è più alto nel momento in cui il reinserimento sociale non è accompagnato con il reinserimento lavorativo. Oggi abbiano uno strumento in più per farlo», osserva Claudio Cardinali, responsabile dell’area prevenzione e dell’ufficio studi di “Oikos”, associazione di volontariato di Jesi in provincia di Ancona impegnata da un trentennio nel settore delle dipendenze patologiche, dei minori vittime di maltrattamenti e abusi e delle mamme in difficoltà.
Chi come “Mestieri” ha alle spalle un percorso pluriennale raccoglie già i frutti.
L’anno scorso, in base alla graduatoria delle agenzie per il lavoro che collocano la maggior percentuale delle persone stilata dalla Regione Lombardia, è risultato l’ente con la miglior performance (54%) tra quelli che hanno preso in carico almeno mille persone con lo strumento di politica attiva della “Dote lavoro”.
Più dei colossi del settore: Randstad (47%), Umana (44%), Adecco (39%), Manpower (37%). Tutto bene, dunque? Non proprio. L’accompagnamento al lavoro dei soggetti più bisognosi di sostegno richiede tempo e risorse che oggi scarseggiano. La crisi economica, peraltro, ha ristretto le occasioni di lavoro. Per tutti, svantaggiati e non. Un osservatorio (purtroppo) privilegiato per analizza- re queste dinamiche è quello dell’associazione “Inventare insieme” che si occupa di processi educativi per i minori nel quartiere Zisa nel centro storico di Palermo. «Siamo in una delle aree a più alta dispersione scolastica e a maggior rischio di coinvolgimento degli adole- scenti in attività criminose. Qui serve un lavoro educativo e di formazione al lavoro doppio. Il punto è che i servizi al lavoro sono lasciati alla buona volontà dei soggetti iscritti al sistema regiona- le di accreditamento. Non ci sono poli- tiche giovanili che permettano di dare continuità ai percorsi messi in moto.
In più il settore della formazione professionale siciliano è di fatto congelato da quattro anni», commenta con amarezza Francesco Di Giovanni, coordinatore generale dell’associazione. Il banco di prova per la maggior parte delle organizzazioni che si sono accreditate negli albi regionali è stata Garanzia Giovani. Ma in Sicilia, sottolinea Di Giovanni, stanno ancora aspettando i soldi per il lavoro svolto. Non bastasse, la Sicilia ha ampliato la platea dei soggetti che potevano partecipare a Garanzia Giovani limitando ulteriormente il campo d’azione del non profit.
«La Regione, per spendere subito i soldi, ha previsto che potessero seguire l’avvio dei tirocini anche i commercialisti. Solo che gli studi commerciali, diversamente da noi, sono in grado di individuare in pochissimo tempo le aziende e fare matching. Chiaramente le chance per le fasce marginali si sono ristrette», chiosa il coordinatore. Stessa musica se ci sposta nel Centro Italia, le Marche. «Non c’è riconoscimento economico per il servizio di tutoraggio che forniamo. Sono lavori che non ti paga nessuno. Quello che facciamo, riusciamo a farlo nelle pieghe della retta pagata per i minori che, però, non prevede l’accompagnamento al lavoro».
Sulla stessa lunghezza d’onda Radaelli di Mestrieri Lombardia. «Per collocare i Neet, i ragazzi che non studiano e non cercano lavoro, c’è bisogno di molta più attività di accompagnamento e anche quando vengono collocati la remunerazione è molto bassa. Sostanzialmente è poco “conveniente” occuparsi delle fasce più deboli. Certo, il fatto di essere una rete non profit che ha la possibilità di reinvestire quello che genera ci consente di prenderci carico di persone che altre agenzie per il lavoro non seguirebbero perché sono poco redditizie. Servono politiche che siano capaci di premiare chi si occupa delle persone più svantaggiate».
Come tirarsi fuori da quest’impasse? Osare. Una strada può essere uscire dal recinto del non profit e proporsi nel mercato dei servizi per l’impiego rivolti non solo all’utenza più debole. Diventare partner delle pubbliche amministrazioni nelle politiche attive per il lavoro. C’è chi questa strada l’ha percorsa. Il consorzio “Mestieri Lombardia”, ad esempio, è coinvolto in due grossi progetti di ricollocazione di 170 persone che hanno perso il lavoro a seguito della chiusura delle raffinerie Ies di Mantova e Tamoil di Cremona. La vera sfida, par di capire, sarà raccogliere sul mercato libero in cui operano an- che le agenzie profit le risorse che servono per ripagare i costi maggiori dell’accompagnamento dei soggetti più fragili sopportati dal non profit. «Passare insomma dalla mutualità interna, quella fra i soci delle cooperative, a quella esterna che si apre all’intera comunità», sintetizza in una battuta Radaelli.
L'articolo è stato pubblicato nella sezione Rewind del numero #10 del Bookazine Vita “Da terzi a primi. Tutto sulla riforma del non profit” di novembre interamente dedicato alla Riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e del Servizio civile universale.
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