Sostenibilità

«Serve una class action anche nel penale contro il processo odissea»

Intervista a Francesco Greco, pm del caso Parmalat

di Redazione

«Certo che abbiamo bisogno della class action anche in area penale. È necessario fare attenzione a come si scrive la legge, però. In America, ad esempio, nonostante quello che si pensa, ha contribuito principalmente ad arricchire gli avvocati, mentre ben poco a risarcire le vittime delle truffe». Francesco Greco, procuratore aggiunto presso il tribunale di Milano, da anni è impegnato sul fronte dei reati societari e di processi che coinvolgono migliaia di risparmiatori.
Consumers’ Magazine: L’azione collettiva risarcitoria è ancora bloccata in Parlamento tra mille rinvii e modifiche. Se mai entrerà in vigore però riguarderà solo il processo civile?
Francesco Greco: Anche la giustizia penale ha bisogno di uno strumento versatile che consenta di gestire grandi numeri di cittadini, senza ingolfare la macchina del processo. I grandi processi, quelli dove sono coinvolte migliaia di persone, non possono essere gestiti con gli strumenti che abbiamo oggi. Sarebbe necessario quindi anche nel penale regolare la costituzione delle parti civili. CM: Prendiamo il processo Parmalat, per il quale si è recentemente concluso il primo grado. Nella sentenza i giudici hanno espressamente dichiarato che esistono dei dubbi «sull’idoneità stessa del processo penale a fornire adeguato strumento di ristoro in caso di violazioni di massa che interessano migliaia di persone». È andata davvero così male ai 42mila risparmiatori coinvolti?
Greco: Un procedimento con centinaia o con migliaia di parti civili diventa ingestibile. A proposito del caso Parmalat (dove comunque i risarcimenti ottenuti fino ad ora sono nettamente superiori rispetto a quanto avviene in America con la class action), se dovessimo preparare il giudizio d’appello, gli atti di appello dovranno essere notificati alle 42mila parti civili. Servono interventi per evitare o razionalizzare questo tipo di operazioni che sembrano banali, ma quando ci sono in ballo numeri elevati possono bloccare l’intero ufficio per settimane. Se questi interventi li vogliamo chiamare class action o in un altro modo, sono comunque urgenti per garantire una giustizia certa.CM: Questi problemi non rischiano di diminuire l’effetto deterrenza? Anche a questo dovrebbe servire una azione collettiva efficace: a far desistere da comportamenti scorretti…
Greco: È emblematico il raffronto tra quello che accade da noi in seguito a uno scandalo finanziario e quello che succede in America. Ma più che della class action, in realtà, il merito è delle sanzioni esemplari, della rapidità dei processi e della certezza della pena. Questi tre elementi combinati sono un deterrente concreto. Pensiamo a come ha reagito la giustizia americana al caso Enron e a come invece ha reagito quella italiana, ad esempio, nel caso Cirio.CM: Si riferisce alle pene inflitte ai vertici delle società?Greco: Non solo. Io non credo nella galera a tutti costi. Parlo piuttosto della risposta che riesce a dare il sistema giudiziario statunitense nel suo complesso. I processi sono rapidi e colpiscono i responsabili con sanzioni adeguate, ma non è solo questo. Socialmente il reato finanziario è vissuto da tutta la popolazione in maniera differente rispetto a quanto succede da noi. Non a caso chi è implicato in questioni di questo tipo in America si dimette immediatamente sotto la pressione dell’opinione pubblica. Non commettiamo, quindi, l’errore di pensare che bastino solo nuove leggi per mutare una situazione sociale di cultura finanziaria che dura da anni. CM: Oltre alle regole, quindi, servirebbe anche un po’ di etica in più tra gli operatori e magari anche una maggior cultura degli strumenti finanziari da parte dei consumatori?
Greco: La consapevolezza che deriva da una buona conoscenza degli strumenti è sicuramente la prima autodifesa del consumatore. Devo anche considerare però che in Italia abbiamo l’abitudine a lamentarci solo quando vengono toccati i nostri interessi personali. Attorno ai reati finanziari, quindi, non c’è quella percezione di disvalore che dovrebbe esserci da parte dell’opinione pubblica. Viene percepito come più pericoloso lo scippo rispetto al falso in bilancio o alla bancarotta, senza considerare che i reati finanziari colpiscono seppur indirettamente tutti i cittadini impoverendo di fatto il Paese. Per quello che riguarda gli operatori finanziari, io evito di parlare di etica. Arrivare a un concetto di “profitto normale”, senza dover a tutti i costi fare guadagni esorbitanti, credo che sia una regola che dovrebbe accompagnare sempre chi lavora in questo ambiente.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA