Formazione

Serve un ministero ad hoc

«Fenomeni di questa portata non si risolvono con una legge. Bisogna tornare invece a una struttura unificata. Altrimenti ogni ministro continuerà a guardare il suo pezzetto di cielo[...]»

di Cristina Giudici

«Lo scriveva Alessandro Manzoni, non si combatte la peste con la caccia agli untori. Così come non si combatte il fenomeno dell?immigrazione clandestina con dei principi astratti. Non esistono leggi o proclami che possano risolvere fenomeni di tale portata», affonda Claudio Martelli, padre della prima legge sull?immigrazione, ex vicepresidente del Consiglio ed ex ministro di Grazia e giustizia nei primi anni Novanta, socialista da sempre. Nel 1992, quando si profilò l?eventualità di un suo coinvolgimento in Tangentopoli, Martelli si dimise immediatamente dall?incarico di ministro. La legge che dà lui prende il nome, però, ha fatto storia. A lui si devono le più grosse novità in materia di immigrazione in Italia anche se in passato l?ex delfino di Craxi è stato accusato di avere la responsabilità di aver aperto le porte d?Europa ai clandestini. In questi giorni il suo nome è d?improvviso tornato alla ribalta, dopo che la ministra della Solidarietà sociale Livia Turco lo ha invitato pubblicamente a collaborare con lei nel fronteggiare l?emergenza immigrazione, partecipando alla commissione tecnico-consultiva presso il ministero. Così adesso, proprio attraverso le colonne di ?Vita?, Claudio Martelli risponde indirettamente alla proposta della Turco .
«Da quando il ministero per l?immigrazione è stato sciolto, nel 1992, c?è stato solo il vuoto. Da allora l?immigrazione è stata oggetto di speculazione politica, battibecchi, insulti, urla demagogiche e nient?altro. Ora che si è fatta la legge, continua però a mancare una struttura unificata che la possa regolamentare, come mancano professionalità, efficienza, preparazione e strumenti adeguati».
Vuole dire che la nuova legge non basta per combattere il traffico organizzato di uomini e i fuggiaschi della disperazione?
Voglio dire che il flusso dei clandestini è una questione insolubile. Gli immigrati illegali sono uomini fuori legge sia per i Paesi in cui cercano di entrare, sia per quelli di provenienza e mi sembra un po? ipocrita dire che una migliore politica di cooperazione allo sviluppo possa arrestare questi flussi. Questo può accadere solo in un arco di tempo a lungo termine, ma a breve e a medio termine ci vuole una politica unitaria. Ora, da un parte c?è il ministero degli Interni che provvede alla sicurezza interna, dall?altra c?è la ministra Turco che si occupa di integrazione dei ?regolari?, non esiste una guardia costiera, e così potrei andare avanti per ore. Insomma ognuno vede il proprio pezzettino di cielo, senza poter scrutare l?orizzonte intero. Quindi, per quanto armati delle migliori intenzioni e di una normativa, siamo comunque destinati a fare cilecca.
Allora vuol dire che si stava meglio quando si stava peggio?
Le ricordo che quando nel 1991 andammo a Tunisi e firmammo un accordo con il governo locale, ci fu un arresto pressoché totale dell?esodo di clandestini da quel Paese. E le ricordo anche che durante il primo esodo degli albanesi ci precipitammo a Tirana per trovare un accordo e nel giro di una settimana facemmo un ponte per riportare a casa venticinquemila albanesi. Quindi la faccenda è anche un problema di politica estera, ma non solo, non solo di politica estera, non solo di ordine pubblico, non solo di politiche per l’integrazione. Se ci fosse, come allora, una struttura unificata, sarebbe più facile applicare la politica dei respingimenti, che non sono altro che espulsioni ritardate. Non si può lavorare su un fronte solo, si deve lavorare contemporaneamente a più livelli. Quindi è sì giusto operare un?azione dissuasiva per scoraggiare l?immigrazione clandestina, ma è anche giusto individuare e separare quelli che hanno problemi con la giustizia da quelli che chiedono rifugio politico, da quelli che ancora chiedono il sacrosanto diritto (riservato solo ai cittadini di Paesi ricchi) di scegliersi il Paese dove andare vivere. Nel primo caso deve scattare l?arresto, nel secondo dev?essere prevista la concessione dell?asilo politico e nel terzo si dovrebbe aprire un negoziato personale con ognuno di loro. Una specie di negoziato ad personam perché i clandestini non sono numeri e neanche bestie, come si vuol far sembrare in questi giorni, ma persone.
Allora condivide le critiche di chi si è opposto al braccio di ferro fra le forze dell?ordine e gli immigrati nei campi?
Credo che ci sia stata qualche esagerazione, ma devo dare atto al governo che si è trovato davanti all?eventualità di perdere il controllo della situazione. Ci vogliono centri di accoglienza più funzionanti, più dignitosi e proroghe dei trenta giorni per l?identificazione dei Paesi di provenienza. Secondo la nuova legge, infatti, passati i trenta giorni, per i clandestini non identificati si provvede con il solito foglio di via che non porta a nulla, perciò dico che l?immigrazione illegale è un problema insolubile. Bisogna affidarsi al rapporto individuale, personalizzato con ognuno di loro.
Cosa consiglierebbe alla ministra Turco?
Le direi che senza concessione del diritto di voto alle elezioni amministrative, non ci può essere nessuna integrazione per gli immigrati. Mentre per i clandestini ci vuole un sistema articolato e sofisticato in cui si incrocino vari approcci, come ho già detto. Non a caso, una delle tante norme rimaste inapplicate della mia legge, è anche quella che prevedeva l?assunzione di duecento assistenti sociali da affiancare alle forze dell?ordine. I flussi migratori vanno studiati, non si può limitarsi a farne soltanto un problema di sicurezza.
Che cosa risponde all?invito della ministra di far parte della sua équipe?
Che mi lusinga e che ci sto pensando. Anche se ribadisco che la politica di integrazione investe solo parzialmente il problema dell?immigrazione.

Accordi bilaterali: per ora solo due

Marocco, Albania, Romania, Tunisia, ex Jugoslavia, Filippine, Cina, Polonia, Perù e Senegal: questa è la top ten dei Paesi di provenienza degli immigrati approdati in Italia. Ma qual è lo stato degli accordi sull’immigrazione tra l?Italia e questi Paesi? Per il 1998 (50esimo anniversario della dichiarazione dei diritti dell’uomo, in cui si dice che la terra appartiene a tutti e che ciascuno ha il diritto di vivere dove preferisce), il governo italiano ha stabilito che da noi potranno trasferirsi solo 20 mila stranieri regolari con un permesso di lavoro subordinato o stagionale. Ma poiché le trattative sono ancora in corso, non si sa in che percentuale i ?20 mila posti? saranno assegnati ai vari Paesi. E, senza accordi bilaterali precisi, il nostro governo non potrà accogliere gli stranieri regolari e reimpatriare i clandestini. Per il momento infatti l?Italia ha concluso un vero accordo di regolamentazione dei flussi solo con l?Albania e un accordo ?di riammissione? con il Marocco che invierà rappresentanti del governo per identificare i propri cittadini. Questa settimana, inoltre, la Farnesina sta definendo le politiche di immigrazione e di controllo delle frontiere tra Italia e Tunisia (Paese i cui cittadini sono identificati in base alle impronte digitali e, quasi totalmente privi di documenti, sono difficili da individuare). In attesa di accordi più precisi, a tutte le altre ambasciate e consolati italiani degli Stati di provenienza degli immigrati, è stata data istruzione di aprire le ?Liste di iscrizione? per venire a lavorare nel nostro Paese.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.