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Sergio Manghi: «Gesù non era un buonista remissivo»
Il docente all'Università degli Studi di Parma non ha dubbi: «porgere l'altra guancia non significa lasciarsi maltrattare supinamente. Il pugno del Papa è quanto di più vicino a Gesù ci possa essere»
Si continua a parlare molto della frase di Papa Francesco, con cui ha chiarito che di fronte all'insulto di ciò che si ha di più caro un pugno è prevedibile. Ne abbiamo parlato con il sociologo, docente all'Università degli Studi di Parma, Sergio Manghi.
L'ha sorpresa il fatto che l'attentato di Parigi sia stato perpretato da parigini?
No, non mi ha affatto sorpreso. Lei ricorderà che tempo fa avevo scritto delle cose su Zinedine Zidane, immigrato francese di seconda generazione, che implicavano il tentativo di comprendere gli immigrati francesi che, soprattutto a partire dalla seconda generazione, tendono a scatenare tensioni non indifferenti. Mi sembra in qualche modo che, anche se non fossero stati francesi, chi compie una violenza di questo genere non può non avere incorporato modelli in qualche modo occidentali e avere desiderato di essere incluso in quei modelli. Io credo che sempre l'oggetto distrutto è anche desiderato. È complesso ma importante. Cerchiamo sempre le cause nelle differenze di identità. Io invece credo che si debba guardare alla relazione. È stato così anche con le Torri Gemelle.
In che senso?
Per capire come mai un Bin Laden desideri distruggere le Torri Gemelle non si deve partire dal noi/loro ma dall'ipotesi che voleva fossero sue. Una persona, ben prima dell'attentato a New York, aveva visto in un bazar a Il Cairo un poster con il deserto del Sahara con in mezzo le torri. Erano un oggetto del desiderio
Questa mancata inclusione significa che l'Occidente sbaglia in qualcosa. Sa dire in cosa?
Dove sbagliamo costantemente è nel crederci già arrivati. Già padroni della libertà e del benessere. Dando per scontato che i nostri modelli di vita siano invidiabili. Poi gli altri ci credono davvero e se non li raggiungono cadono nel risentimento. Questo è l'errore che compiamo insieme a quella opposizone noi/loro. Anche in questa nostra conversazione. È vero siamo differenti. Ma non siamo superiori.
Anche l'idea di città con queste periferie abbandonate, le banlieue, è un errore?
Specificatamente la Francia ha una cultura molto particolare all'interno del mondo Occidentale. Ha sviluppato un concezione molto razionalista ed iper laicista. Per cui si sta alle regole universali che valgono per tutti come se questo potesse davvero funzionare. Anche nel concepire il rapporto centro-periferia si ragiona in questi termini. Ma primo a poi se ne paga lo scotto
Veniamo alla frase del Papa. Come ha preso la faccenda del pugno?
Come prima sensazione una sorpresa piacevole. Questa disinvoltura di dire in un modo apparentemente semplice e ingenuo una cosa del genere mi ha fatto pensare che ha voluto usare un linguaggio da parabola per far capire a milioni di persone una cosa molto importante. Che la libertà è relazionale. Non riguarda i singoli separatamente ma il modo di stare all'interno delle relazioni. Non c'è da stupirsi. Se l'interpretazione della libertà si spinge oltre certe soglie si avranno reazioni sgradevoli
Lei ha un’interpretazione del “porgi l'altra guancia” di Gesù molto affascinante, ce la spiega?
Io queste cose le ho scoperte studiando in particolare la psicanalista Marie Balmary, che dice una cosa che se ci pensiamo è di buon senso. Noi siamo stati molto legati ad una lettura letterale e anatomica dello schiaffo e dell'“altra guancia” come se la reazione proposta da Gesù fosse che se prendi uno schiaffo alla guancia destra devi porgere anche quella sinistra. Questo ha anche favorito un'immagine di Gesù buonista e remissivo che non corrisponde alla realtà. Gesù si arrabbia, eccome. E a volte reagisce anche molto male. L'“altra guancia” invece va intesa in senso metaforico, come invito a mostrare l'altra faccia delle cose. L’altra faccia di quello che ci sta accadendo nel mentre ci prendiamo a schiaffi. Il passaggio vero di Gesù non è di prenderle ma di costringere, indurre l'altro, a prendere in esame un'altra possibilità, rispetto a quella del rilancio simmetrico. Prendersi cura della relazione che è in corso in quel momento in modi che siano capaci di accogliere reciprocità e differenze. La mossa del perdono porta a questo. Ma non significa che sul piano comportamentale significhi accettare la violenza passivamente. Perché se fosse così non capiremmo la lotta partigiana e la giusta partecipazione di tanti cattolici a quella lotta armata. Io non sono credente, ma mi pare che il vangelo sia per tutti. E mi prendo il diritto di leggerlo a modo mio. Anche la celebre frase di Gesù che dice «sono venuto a portare la divisione e non la pace» è interessante. Sa che per accedere alla pace e al perdono bisogna passare per il conflitto e non fuggirlo. Anche Gandhi non sarebbe d’accordo, la non violenza non è la non azione
C'è chi però si preoccupa che alle grandi masse questo messaggio arrivi distorto…
Ma questo è vero per qualunque cosa si dica. Ogni frase va guardata nell'insieme. Il Papa dice questa cosa ma il pugno non lo da. E dice questa cosa all'interno di un discorso e di una storia. Non si può usare la forma slogan. In quella frase c’è poi il richiamo alla figura materna. Non è secondo me secondario. È il tema di un'idea di giustizia che non sia astratta, che non sia legata alla difesa di valori generici e aleatori, ma qualcosa di concreto, reale e vivo.
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