Cultura

Sere d’estate con un figlio

Roberta De Monticelli. Come si può scoprire il senso della maternità attraverso la filosofia

di Redazione

Un racconto d’estate. Parole leggere come grilli che imitano il suono delle stelle. Prosa e poesie dedicate a un bambino, piccolo-grande interlocutore di una madre che cerca di ripercorrere le tappe di un’infanzia e di tutte le scoperte a bocca aperta che l’infanzia regala.
Parla di felicità e di emozioni con un linguaggio che culla i pensieri, l’ultimo libro di Roberta De Monticelli, quarantanovenne filosofa e docente all’Università di Ginevra, nota, oltre che per i suoi saggi sulla fenomenologia e su Wittgenstein, per un commento critico e una traduzione italiana alle Confessioni di Sant’Agostino. Dal vivo (Rizzoli L. 14.000) è una meditazione poetica offerta a un figlio tredicenne, anche se quest’interlocutore silenzioso l’autrice avrebbe voluto chiamarlo semplicemente “bambino”. «Avrebbe dato un senso più universale alla narrazione», dice Roberta De Monticelli. E spiega che il libro, in realtà, è il tentativo di riprodurre l’universo infantile, «una sorta di interiorizzazione di un mondo riscoperto come vergine, nuovo, mai veduto, un po’ con gli occhi del bambino ma come potrebbe esprimersi la madre. Una riscoperta dell’infanzia dal punto di vista materno, una continua identificazione col bambino e de-identificazione».
Fra queste pagine dense degli echi di letture filosofiche, la madre parla al figlio della felicità, «perché la felicità», precisa l’autrice, «è quell’armonia con il mondo così vicina al modo di vivere di un bambino». E un infante – questo non smetterà mai di affascinare – possiede il dono di capire meglio ciò che gli adulti comprendono soltanto dopo un lungo percorso di saggezza.
E allora, che dire a un figlio tredicenne sulla felicità? L’autrice risponde con un brano del libro: «Di quali luoghi siamo fatti, di quali paesaggi, di quali città? Non è a loro che dovremo anzitutto chiedere il nome preciso della nostra felicità? La felicità di ciascuno è qualcosa di così inconfondibile che dovrebbe ricevere un nome proprio, come una persona. Sarebbe un nome così segreto e incomunicabile come dicono che sia il nome di Dio».
Finché si scopre che la felicità, semplicemente, possiamo chiamarla amore di quello che c’è «indipendentemente dal fatto che ci siamo noi», dice Roberta De Monticelli. «Un grazie alle cose per quello che sono». E quel «vivo» che percorre tutto il libro, a partire dal titolo? Perché insegnarlo a un bambino? «Perché è il soffio dello spirito che anima le cose», risponde l’autrice, «può essere l’improvvisa felicità per una bellezza naturale, o il nascere di un amore. Qualcosa che si accende dentro e illumina le cose fuori, questo è il vivo». Uno stupore, quasi: «Non lo so, che cos’è il vivo. So cosa fa. Chiama, a volte. è quello che ci chiama nelle cose, quello di cui improvvise s’accendono, quando c’è come un vento che le ravviva. Quell’improvviso respirare delle cose: io lo chiamo Spirito».
Un percorso che alla fine svela la sua straordinaria semplicità, e ci mostra una madre che, in tante sere d’estate, mette insieme le parole per dire al suo bambino quanta gioia può nascondersi nella vita, nei giorni. Purché il suo sguardo infantile sopravviva al tempo.

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