Politica
«Senza sviluppo, non si va via»
Così il Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite, Stefan De Mistura, all'indomani del Summit della Nato
BRUXELLES – “La sicurezza non può essere l’unico parametro su cui basarsi per decidere di lasciare o meno l’Afghanistan. Lo sviluppo sociale del paese sarà altrettanto fondamentale”. Lo ha dichiarato ieri durante una conferenza stampa il Rappresentante speciale delle Nazioni Unite, Staffan De Mistura.
In visita a Bruxelles per incontrare responsabili della Nato e delle Istituzioni europee, De Mistura si è espresso sull’exit strategy annunciata dai vertici della Nato durante l’ultimo Summit dell’Alleanza Atlantica che si è tenuto il 20 novembre scorso. A Lisbona i responsabili della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf) in Afghanistan hanno approvato assieme al presidente afghano Ahmid Karzai un documento che da il via libera alla strategia di transizione che partirà all’inizio del 2011 con l’obiettivo di riconsegnare la sicurezza “di tutte le province” del Paese alle forze afghane “entro la fine del 2014”.
“Ma il ritiro delle truppe Nato non possono essere condizionate al solo miglioramento della sicurezza” ha detto De Mistura. “La Comunità internazionale deve tener conto anche dei progressi che verranno registrati nei prossimi quattro anni a livello sociale”. Per ora l’Afghanistan è ancora alle prese con una forte insicurezza e un’instabilità politica segnata dai ritardi colossali nella pubblicazione dei risultati delle ultime elezioni legislative risalenti al settembre scorso. “Questi risultati dovrebbero essere resi noti tra pochi giorni” ha dichiarato il responsabile delle Nazioni Unite. “Nonostante le numerose frodi e la conseguente squalificazione di decine di parlamentari, le elezioni si sono svolte in condizioni più trasparenti rispetto alle presidenziali”.
Sul fronte della sicurezza, “la strategia militare del comandante militare americano Petraus sta dando i suoi frutti. Certo” ha sottolineato De Mistura, il livello della violenza è aumentato nell’ultimo anno, ma anche tra i talebani ci sono segnali di stanchezza. I contatti sempre più intensi che i ribelli stanno allacciando con il governo ne sono la prova più lampante”. Dal canto, “i signori della guerra fanno sempre più fatica a reclutare nuove leve, soprattutto in ambito urbano dove una generazione di ragazzi afghani si stanno sprovincializzando grazie all’utilizzo di internet e dei cellulari, tutti strumenti di communicazione fondamentali attraverso i quali stanno aprendo gli occhi sulla realtà nazionale e il mondo esterno. Le mentalità cambiano, anche in un paese dove culturalmente ogni afghano è un potenziale combattente”.
Per raggiungere l’obiettivo fissato a Lisbona, “la Comunità internazionale sta facendo sforzi enormi per formare le forze di sicurezza afghane e consegnare le redini del paese a un’élite capace di garantire lo sviluppo nazionale”. Secondo De Mistura in Portogallo l’Isaf ha voluto lanciare un messaggio chiaro a tutti gli attori del conflitto. All’Occidente in primis. “Il 2011 segna l’inizio di un lungo periodo transitorio attraverso il quale si chiede all’Occidente di essere paziente perché l’Afghanistan è in una situazione più complessa rispetto all’Iraq”. In qualità di ex Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite in Iraq, De Mistura parla per esperienza. “Contrariamente al paese arabo, l’Afghanistan non ha mai avuto un regime forte, né un esercito nazionale degno di questo nome. Ecco perché dobbiamo rimanere vicini agli afghani”.
Per quanto riguarda i Talebani, “non possono pensare di guadagnare tempo e basta. La deadline del 2014 scade tra quattro anni, è un lasso di tempo molto lungo in una guerra che dura già da troppi anni”. Infine per gli afghani, “è fondamentale far capire che da qui al 2014 saranno prodotti tutti gli sforzi possibili per assicurare una transizione di successo, compreso la formazione delle forze di sicurezza. Purtroppi molti di loro sono afflitti dalla cosiddetta sindrome di Najibullah* e temono di essere abbandonati una seconda volta”.
Per De Mistura, il presidente Ahmid Karzai incarna in qualche modo i rapporti che condizionano il popolo afghano con la Comunità internazionale. “Da un lato c’è un attaccamento fortissimo alla sovranità nazionale. Ogni critica proveniente dall’Occidente viene presa male. Dal lato opposto c’è una paura folla dell’abbandono. Non possiamo sfuggire a questi due sentimenti contradditori”.
* Alla guida dell’Afghanistan dal 1987 al 1992, Mohammed Najibullah ha resistito tre anni dopo la partenza delle truppe sovietiche nel 1989, per poi vivere quattro anni a Kabul sotto la protezione dell’Onu. Con la conquista della capitale afghana da parte dei Talebani, Najibullah fu giustiziato dai nuovi padroni dell’Afghanistan.
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