Mondo

Senza libertà la Cina è un gigante zoppo

Intervista ad Amartya Sen: il premio Nobel riconosce alcuni meriti del modello economico di Pechino. Ma avverte: «Se si nega la libertà politica e d’espressione, non c’è vera crescita»

di Paolo Manzo

Senza democrazia e giustizia non c?è vera crescita. Anche in Cina, dove però, a ben vedere, non tutto è da buttare. Parola di Amartya Sen, Nobel per l?economia nel 1998, autore di libri tradotti in oltre trenta lingue, forse il maggior esponente vivente di una scienza, la filosofia dell?economia, che altro non è che l?economia applicata all?uomo e alla sua morale. E&F: Professor Sen, che ne pensa del modello economico cinese? Amartya Sen: Che non è totalmente negativo e, anzi, possiede alcune caratteristiche positive. In primis, la riforma agricola iniziata nel 1979, che ha creato in Cina la maggior crescita della storia, facendo diminuire la povertà. Poi il modello industriale, che è stato per certi versi buono perché i cinesi, invece di sedersi, hanno cercato di renderlo il più efficiente possibile. Terzo, prima delle riforme economiche i cinesi hanno fatto un grande investimento nella scuola e nella sanità pubblica. Questo mix di politiche ha innalzato l?aspettativa di vita a 68 anni già nel 1979: un gran risultato. E&F: Passiamo agli aspetti negativi del modello di Pechino, che pur sono tanti? Sen: La riforma economica messa a punto nel 1979 ha avuto alcune parti stupide. Una di queste è stata l?abolizione della sanità pubblica. Passare da un modello di sanità canadese a uno statunitense non ha aiutato lo sviluppo dell?aspettativa di vita che, infatti, da allora non è più aumentata e, in alcune regioni, è persino diminuita. Pensi che in Cina nel 1979 era nettamente più elevata rispetto al mio paese, mentre oggi in uno stato indiano come il Kerala la gente vive in media 76 anni, contro i 71 dei cinesi. Stesso discorso per la mortalità infantile: dieci decessi su mille nel Kerala, 30 su mille a Pechino. Un?altra negatività, ovviamente, è la mancanza di democrazia: se si nega la libertà politica e d?espressione, si provoca una serie di rallentamenti anche nella crescita sociale. E&F: In Europa in molti parlano di pericolo cinese: è un timore fondato? Sen: A livello mondiale la produzione cinese rappresenta il 4%, mentre le esportazioni sono meno del 7%. Perciò questo panico è ingiustificato, soprattutto in relazione alla concorrenza che i cinesi farebbero a Europa e America. E&F: Ma c?è chi teme che in Europa perderemo molti posti di lavoro? Sen: Affatto. Credo, anzi, che l?Ue possa beneficiare di questa situazione: più merci, maggiore efficienza, meno costi, e questo senza minacciare l?occupazione. Certo, se l?Italia rimane congelata nelle sue posizioni perderà posti di lavoro. Oggi la Cina ha commodities assolutamente convenienti, come l?India del resto. Pensi che se compero un farmaco negli Usa, spesso me lo ritrovo 200 volte più caro rispetto a quanto non mi costi a Calcutta. È ridicolo. Per questo sia gli statunitensi che gli europei devono stare attenti ai benefici e non vedere paesi come Cina, Brasile e India solo negativamente. Inoltre l?Italia può anche vendere alla Cina che, infatti, ha aumentato le sue importazioni. E&F: Quale dovrebbe essere oggi l?impegno sociale del mondo dell?impresa? Sen: Non dovrebbe includere solo il raggiungimento del benessere economico ma avere anche un ruolo nell?incoraggiare la libertà sociale e politica, compreso l?appoggio a una discussione aperta e pubblica attraverso l?aiuto a media indipendenti. E&F: E il ruolo degli imprenditori? Sen: Oggi chi dispone delle risorse economiche e sociali ha un importante obbligo etico nel rafforzare discussioni pubbliche aperte. Perché, vede, la democrazia è davvero un ragionamento pubblico, una sorta di ?governo tramite la discussione?, non solo una questione di voto. E&F: Quale la sfida del terzo millennio secondo Amartya Sen? Sen: Attorno al 1770 David Hume aveva sottolineato che, dal momento che i contatti economici tra le differenti parti del mondo crescevano, noi siamo obbligati a riconoscere che le frontiere della giustizia devono crescere maggiormente. Questa considerazione vale ancor oggi.


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