Welfare

Senza fissa dimora, garantire medico di base e residenza a 60mila

Parla Antonio Mumolo, presidente dell’associazione Avvocato di Strada: diritto alla salute ed alla residenza sono indispensabili per aiutare gli oltre 60mila senzatetto. Due diritti garantiti dalla Costituzione italiana ma che, ancora oggi. non vengono rispettati. I volontari che offrono assistenza legale gratuita ai poveri spingono per un movimento di pressione.

di Emiliano Moccia

«Bisogna garantire il medico di base e la residenza anagrafica a tutte le persone senza dimora che vivono in Italia». Antonio Mumolo non fa troppi giri di parole. Per il presidente dell’associazione Avvocato di Strada «il diritto alla salute ed alla residenza sono indispensabili per aiutare quanti, per i motivi più diversi, vivono oggi in strada, nei dormitori, nei centri di accoglienza, nelle stazioni. Quando una persona diventa così povera da non potersi più permettere di pagare un affitto o un mutuo finisce in strada. Una volta in strada perde anche la residenza ovvero viene cancellata dall’anagrafe del Comune. La legge italiana collega una serie di diritti fondamentali -come il diritto al lavoro, al Welfare, al voto ed alla salute – al possesso di una residenza. E se una persona la perde, è come se scomparisse». Per questo, lo studio legale più grande d’Italia, ma anche quello che fattura di meno, porta avanti da sempre queste due battaglie che misurano il grado di civiltà di un Paese.

Il problema della mancanza di una residenza

Avvocato di Strada è l’organizzazione di legali che prestano assistenza gratuita ai senza dimora. Italiani e migranti, a tutte quelle persone che vivono in situazioni di fragilità sociale, di emarginazione, di povertà e che non possono beneficiare del gratuito patrocinio a spese dello Stato in quanto privi del requisito della residenza anagrafica. Oltre mille avvocati volontari sparsi nei 57 sportelli attivi in Italia, da Nord a Sud. Per tutti, la mancanza di residenza da parte dei senza dimora rappresenta non solo il primo ostacolo per una persona che vuole iniziare un percorso di inclusione sociale e lavorativa, ma anche di riappropriazione dei propri diritti. «La questione della residenza anagrafica resta la più affrontata dai volontari dell’associazione, con 510 casi seguiti solo nel 2018, che danno la misura di questo problema per ci vive in strada» spiega Mumolo. Non a caso, due anni fa Avvocato di Strada ha realizzato il progetto “Senza tetto, non senza diritti” con l’obiettivo di porre l’attenzione sul problema dell’iscrizione anagrafica per le persone senza dimora. Quello che è emerso dal lavoro di ricerca che ha coinvolto 302 comuni italiani è «che ognuno decide per conto proprio, fa un po’ quello che gli pare. Quello della residenza è un diritto costituzionalmente garantito, eppure al momento non esiste una procedura comune a livello nazionale per iscrivere all’anagrafe le persone senza dimora. Le diverse prassi applicative adottate nei vari Comuni italiani rendono spesso difficoltoso l’esercizio effettivo del diritto. Questo problema» evidenzia Mumolo «ci viene costantemente rappresentato dalle persone che si rivolgono a noi e non di rado siamo consultati in merito sia dai servizi sociali e assistenziali, sia dagli stessi uffici anagrafe».


Pochi i Comuni che la concedono

Alla base della mancanza di un’uniformità da parte degli uffici anagrafici dei Comuni nel rilasciare la residenza anagrafica fittizia alle persone senza dimora, c’è innanzitutto «un aspetto meramente economico. Perché le Amministrazioni Comunali temono che tutte le persone alle quali viene data la residenza anagrafica fittizia possano poi diventare un peso economico per le loro casse, pensano che concederla significhi poi doversi accollare una serie di oneri. Non capiscono, invece, che la maggior parte dei senza dimora hanno capacità lavorative, possono reinserirsi nella società con un’occupazione, ma per farlo hanno bisogno della residenza. Mentre nel loro stato di povertà ed emarginazione, paradossalmente, sono sempre a carico dei servizi sociali. Riottenere la residenza» puntualizza il presidente di Avvocato di Strada «è il primo passo per ricostruire un’identità perduta, per allontanarsi da una condizione di marginalità e per cercare di comporre nuovamente la propria vita». L’ultimo Bilancio Sociale dell’associazione racconta che con 433 pratiche seguite dai legali volontari anche nel 2020 «la mancanza della residenza anagrafica si è conferma, ancora una volta, il problema principale per le persone senza dimora». La residenza anagrafica fittizia è sì una via “invisibile”, ma una strada che produce effetti giuridici nella vita delle persone senza dimora. A Bologna, per esempio, si chiama Via Mariano Tuccella, a Roma Via Modesta Valenti, a Napoli Via Alfredo Renzi, a Foggia Via della Casa Comunale.

L’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale

Al di là del nome, dunque, quello che più conta è che le Amministrazioni Comunali applichino ciò che è scritto nella Costituzione italiana. Perché la sua mancanza provoca una serie di disagi a catena ai clochard. A partire dall'inaccessibilità al diritto alla salute, l’altra battaglia su cui si muove da sempre Avvocato di Strada. «La legge 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, stabilisce all’articolo 19, terzo comma che “Gli utenti del servizio sanitario nazionale sono iscritti in appositi elenchi periodicamente aggiornati presso l'unità sanitaria locale nel cui territorio hanno la residenza”» spiega Mumolo. «Siccome come abbiamo visto questo diritto soggettivo alla residenza viene negato da moltissimi comuni alle persone senza dimora, con le più disparate motivazioni, è necessario garantire il diritto alla salute modificando la legge attuale». Da questa intuizione, Mumolo – che ricopre anche il ruolo di consigliere regionale in Emilia Romagna nel Partito Democratico – dopo un paio di tentativi falliti di far modificare la norma a livello nazionale, si è impegnato in ambito regionale. E questa volta colpendo il bersaglio.

La Legge approvata in Emilia Romagna

«Il Piano socio-sanitario dell’Emilia Romagna consentiva di aiutare le associazioni di medici volontari che curavano i senza dimora. Solo a Bologna questi medici hanno aperto cartelle cliniche a circa 20mila mila persone che non sono state curate dal Servizio sanitario nazionale. La pandemia di Covid-19 ha fatto emergere ancora di più il problema delle carenze assistenziali. Perché i senza dimora non hanno medico ed hanno diritto solo a prestazioni da pronto soccorso. Non hanno la possibilità di effettuare tamponi né di vaccinarsi. Il Covid ci ha insegnato che il diritto salute è diritto collettivo ed è interesse della collettività che tutti possano curarsi». Di qui, attraverso la proposta presentata da Mumolo la Regione Emilia Romagna ha approvato lo scorso anno la Legge che garantisce – per la prima volta nel nostro Paese – il diritto alla salute delle persone senza dimora. La norma è entrata in vigore nel mese di dicembre. «La legge sta muovendo i suoi primi passi» evidenzia l’avvocato «e prevede l’assegnazione per un anno ai clochard di un medico di medicina generale, che sarà scelto, attraverso la mediazione dei servizi sociali, in base alla prossimità al luogo in cui la persona assistita si trova, si tratti di un dormitorio o altro alloggio provvisorio».

La richiesta di una Legge nazionale

Visto il successo dell’approvazione della Legge in Emilia Romagna, Avvocato di Strada ha inviato la norma a tutti gli Sportelli attivi in Italia sperando che qualche altra Regione seguisse l’esempio. A mostrare interesse sono state le Regioni di Liguria, Piemonte, Veneto, Puglia, Toscana, Abruzzo, Lombardia, Lazio e Marche. «Di queste, solo il Consiglio regionale pugliese lo scorso mese di novembre ha approvato la Legge, mentre in Piemonte la stessa norma è stata deliberata dalla Giunta, ma gli effetti sono identici». Ma il cammino di Avvocato di Strada per garantire il diritto alla salute agli oltre 60mila senza dimora che vivono in Italia non si ferma qui. «Stiamo scrivendo e coinvolgendo le associazioni che a livello nazionale si occupando di povertà ed emarginazione per creare un gruppo di pressione per favorire l’approvazione di una Legge nazionale. E’ una questione di rispetto di diritti, di etica, di aiuto concreto, di risparmio economico» appunta Mumolo. «La legge comporterebbe un notevole risparmio perché: prevenire costa meno che curare malattie in fase avanzata; un medico di base costa circa 80 euro l’anno a persona, mentre un solo accesso al pronto soccorso costa in media 250 euro; diminuirebbero i giorni di degenza di queste persone, oggi costrette a fare anche la convalescenza in ospedale non avendo un medico di base».

Del resto, «stiamo assistendo ad un cambiamento del profilo dei senza dimora: un tempo chi si trovava a vivere in strada presentava spesso una storia di tossicodipendenza, alcolismo o disagi di natura psichica. Oggi, invece, si è testimoni di un vero e proprio processo di impoverimento, in cui la disgrazia o il caso possono distruggere tutto quello che si è costruito in una vita intera. Ritrovarsi in strada può essere la conseguenza di un semplice evento o di una concatenazione di situazioni sfavorevoli, anche non previsti e inaspettati, come la perdita del lavoro, una separazione, una malattia». L’ideale, dunque, sarebbe «arrivare ad una legge nazionale che tuteli le oltre 60mila persone senza dimora in Italia. Il progetto di legge nazionale è appena stato presentato sia alla Camera dei Deputati sia al Senato, ma ha bisogno del supporto di tanti per andare avanti». Avvocato di Strada non si fermerà. Gli oltre mille volontari quotidianamente impegnati ad offrire assistenza legale gratuita a chi vive in stato di povertà estrema, faranno da cassa di risonanza per spingere verso l’approvazione della legge. «In una pagina memorabile del libro “L’avvocato di strada”, il protagonista ideato da John Grisham dice: Prima di tutto sono un essere umano. Poi un avvocato. E’ possibile essere entrambe le cose» conclude Mumolo.
Per saperne di più: avvocatodistrada.it

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.