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Sensologia, il nuovo nome del potere

Mario Perniola racconta il suo ultimo libro

di Redazione

Insegna Estetica all’università di Roma.
E ha scritto un pamphlet in cui spiega come alla fine del 900 si sia affermato
un inedito “collettivismo”. Quello che ci ingabbia tutti nelle stesse emozioni
e su uno stesso sentire.
Ecco di cosa si tratta…
«Gli uomini hanno i riflessi lenti. In genere», osservava il polacco Stanislaw Jerzy Lec, «comprendono le cose solo nelle generazioni successive». Parte da qui, dall’ironica e amara constatazione di Lec posta in esergo al suo ultimo libro, Miracoli e traumi della comunicazione (Einaudi, 153 pagine, 10 euro), la riflessione di Mario Perniola sul «flusso ininterrotto» di una comunicazione che, nella seconda metà del Ventesimo secolo, ha imposto i suoi ritmi fino a identificarsi con una precisa forma di vita determinata più dal “sentire”, che dall'”agire”. «Come raccontare», si chiede Perniola, «il periodo che va dalla fine degli anni 60 a oggi? Come confrontarsi con la doppia destabilizzazione, drammatica e al tempo stesso ridicola, che segna e travolge ogni soggetto in un’era di comunicazione integrale?». Professore di Estetica all’università Tor Vergata di Roma, direttore della rivista Agalma, Perniola è impegnato in questi giorni nelle sessioni di un convegno internazionale dedicato al «Senso della fine», presso il Centro di Semiotica dell’università di Urbino, dove lo incontriamo.

Vita: Nel suo ultimo lavoro, il discorso si sviluppa attorno a «eventi matrice» che hanno segnato immaginario e vita delle società del dopoguerra. Può accennare a questa suddivisione, spiegandocene le ragioni?
Mario Perniola: Il filosofo e lo storico sono simili al sarto: la difficoltà consiste nello scegliere e nel tagliare. Si possono dunque individuare tre tagli. Il primo taglio va dalla fine della seconda guerra mondiale all’ottobre del 2008 ed è relativo, quindi, all’egemonia politica delle cinque potenze che hanno vinto la guerra e alla loro sostanziale connivenza, dovuta al quasi monopolio del potenziale atomico e ai cinque seggi con diritto di veto all’Onu. Quest’ordine comincia a incrinarsi con il crollo dell’economia mondiale. Vita: Qual è invece il secondo taglio?
Perniola: Lo individuo nel periodo dal 68 al 2008, periodo da intendersi come età della comunicazione massmediale. Il discorso politico moderno, che aveva retto e mantenuto una sua credibilità fino agli anni 60, viene allora sostituito dall’infantilizzazione e dalla futilizzazione massmediatica delle popolazioni. La cultura è stata alla periferia dell’esperienza umana. Ora è diventata prossima agli spettacoli, ai giochi o addirittura agli sport e l’intero Occidente è entrato nella fase della puerilità.
Vita: E poi c’è la terza porzione. Quale sarebbe?
Perniola: All’interno di questi quarant’anni, 1968-2008, si possono osservare quattro momenti diversi che andrebbero letti attraverso le nozioni di contestazione (anni 60- 70), di deregolamentazione (anni 80), di provocazione (anni 90) e di “valutazione” (dal 2001 in poi). In quest’ultimo caso, non bisogna lasciarsi ingannare dalla promessa che l’età della valutazione possa aprire un’epoca in cui i meriti saranno riconosciuti. La parola «meritocrazia» è l’ultimo trucco della comunicazione: essa rimane inseparabile dal significato peggiorativo di chi l’ha inventata, il politico inglese laburista Michael Young che, nel 1958, prendeva di mira una società in cui una minoranza di privilegiati si avvaleva di criteri di selezione tendenziosi e settari per impedire l’ascesa sociale delle classi inferiori.
Vita: Quali sono gli effetti del presente onnipervasivo e onnipresente sulle nozioni di “memoria”, “comunità”, “società”. E sulla nozione mediaticamente inflazionata di “crisi”?
Perniola: Queste nozioni rischiano di essere fuorvianti perché non adeguate a descrivere la situazione attuale. Memoria: a partire dal momento in cui la commemorazione è più importante dello studio e dell’interrogazione sul significato dell’evento commemorato, il compito dello storico viene ridicolizzato. Comunità e società: sono concetti elaborati dal sociologo tedesco Ferdinand Tönnies. Tönnies contrapponeva la prima, “Gemeinschaft” – comunità intesa come organismo vivente, che implica una profonda convivenza sentimentale, intima ed esclusiva, basata su esperienze comuni di natura emozionale – alla seconda, “Gesellschaft” – intesa come un organismo artificiale, in cui gli individui rimangono separati e sono collegati tra loro unicamente da interessi e da rapporti contrattuali. Se usati in questi termini, gli schemi sono fuorvianti e non semplicemente in crisi.
Vita: A proposito di “crisi”, si discute molto di apocalissi, di declino, di scontro (o shock) di civiltà, e via discorrendo. Qual è la sua posizione?
Perniola: Io non sono, né sono mai stato, un “apocalittico”. Tutte le cose hanno una fine e solo attraverso questa se ne comprende il senso. Come dice Kant: «Infine deve pur cadere il sipario. Perché alla lunga diverrebbe una farsa; e se gli attori non se ne stancano perché sono pazzi, se ne stanca lo spettatore». È proprio questa fine che consente la possibilità dell’inizio di qualcosa d’altro: si può cominciare una nuova esperienza solo a condizione che quella precedente sia conclusa.
Vita: In che senso parla di miracoli e traumi? Crede che le generazioni del secondo dopoguerra siano generazioni senza traumi (e con troppi miracoli)?
Perniola: Non traumi, ma tragedie; non miracoli, ma trionfi. È sparito l’universo del serio e, con esso, la possibilità stessa dell’azione. Tutto è ridotto ad una immediatezza insensata, come nelle opere buffe di Mozart e di Rossini. A proposito della fine dell’azione, McLuhan parlava di “numbing effect”, definendolo come amputazione affettiva e del sentire, alla quale si accompagnerebbe l’innesto di una sorta di protesi esterna, un mezzo (ieri e oggi la televisione, oggi e domani internet) simile a un “arto fantasma” capace di “collettivizzare” emozioni e sentimenti, facendo paradossalmente sentire anche ciò che in realtà non si sente…
Vita: Che cosa accomuna fenomeni molto lontani tra loro come il neo-fanatismo e il neo-scetticismo, il fondamentalismo e il nichilismo?
Perniola: Io direi che la comprensione di questi fenomeni deve rimontare a un fenomeno più grande: alla fine del Novecento si è affermato un nuovo tipo di potere, la sensologia. Questo potere impone un universo affettivo impersonale, caratterizzato da un’esperienza anonima e reificata, nella quale tutto si dà – per così dire – come già sentito. In altre parole, le ideologie erano connesse con l’azione, le sensologie con la comunicazione. Estinte le prime, rimangono le seconde.

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