Sostenibilità

Senegal, la pesca sostenibile è un freno all’emigrazione

di Redazione

Così il WWF prova a coniugare sviluppo e tutela dell’ambienteda Dakar, Elisa Cozzarini
Le piroghe colorate dei pescatori rientrano a fine giornata sulle spiagge bianche della costa senegalese. Qui le donne raccolgono i pesci e li portano via dentro grandi secchi, posizionati perfettamente in equilibrio sulla testa. In Senegal il WWF lavora in alcuni dei maggiori centri ittici del Paese: Saint Louis, Kajar, Rufisque, Joal-Fadiout, Mbour, Bargny e Dakar.
«Agiamo sul fronte ambientale, per lo sviluppo e la messa in rete delle aree marine protette», spiega Marco Costantini, responsabile del Programma Mare dell’associazione, «parallelamente cerchiamo di fornire gli strumenti per uno sviluppo responsabile della pesca, della filiera di trasformazione del pescato e del turismo». L’obiettivo del progetto WWF in Senegal, cofinanziato dal ministero degli Esteri, Fondazione Cariplo, Regione Lazio è creare opportunità di lavoro nuove e sostenibili per la popolazione locale, per il contrasto all’emigrazione clandestina.
Fuggire dall’Africa è ancora il sogno di moltissimi giovani, che rischiano la vita imbarcandosi su piroghe di fortuna. Navigano verso le Canarie, la Spagna. A volte arrivano, spesso muoiono. Contro le tragedie del mare si è creato anche un collettivo di mamme contro l’emigrazione clandestina: 300 donne senegalesi che hanno perso almeno un figlio, un fratello, un marito, nel viaggio della speranza.
Il WWF intende valorizzare la ricchezza del Senegal, che è tutta sulla costa, proprio dove la pressione antropica è sempre più forte. L’avanzare della desertificazione, accelerata dal cambiamento climatico, rende impossibile la vita all’interno del Paese. Ma dal nord al sud, i pescatori sono preoccupati perché si pesca sempre meno. Negli ultimi anni, infatti, il prelievo effettuato dalle piroghe locali, sommato a quello delle flotte di altri paesi, soprattutto della Corea del Sud, ma anche dell’Unione europea, ha causato un preoccupante impoverimento degli stock ittici.
«C’è un margine molto ampio per lavorare, cominciando dal ridurre gli sprechi e dall’adeguare i centri di refrigerazione ai criteri qualitativi necessari per esportare il pescato in Europa e cercare nuovi sbocchi commerciali», spiega Roberto Mamone, consulente per WWF in Senegal. Il progetto prevede la formazione di 720 giovani pescatori sulla pesca sostenibile e di 360 persone, in maggioranza donne, per lo sviluppo di attività microimprenditoriali. Sono già in corso visite di scambio tra le diverse località coinvolte, per mettere in rete esperienze e conoscenze acquisite. «È un compito delicato, il nostro: dobbiamo porre le basi perché si realizzino maggiori guadagni dalla pesca, senza che questa diventi una minaccia ancor più grave per il mare», concludono Costantini e Mamone.

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