Cronache africane
Senegal: c’è aria di democrazia
Il Paese ha scelto come nuovo presidente Bassirou Diomaye Faye. L'elezione, nonostante le tensioni della vigilia del voto e dei tanti colpi di stato militari nei Paesi vicini, conferma che il Senegal è a un punto di svolta. VITA ha raccolto le voci di quattro personaggi importanti del Paese africano vicini alla società civile locale e al mondo dell'informazione per comprendere meglio cosa cambia a Dakar
di Paolo Manzo
Il Senegal ha un nuovo presidente, Bassirou Diomaye Faye, 44enne ex esattore delle tasse che ha vinto al primo turno. Una sorpresa visto che non era mai successo dal 1960 ad oggi che non si disputasse il ballottaggio in questa nazione di 18 milioni di abitanti dell’Africa occidentale.
Mai un golpe militare dalla sua indipendenza dalla Francia, 64 anni fa. Un esempio di democrazia che, tuttavia, era stato messo in dubbio. È successo quando il presidente uscente Macky Sall aveva deciso di rinviare a tempo indeterminato le elezioni, previste per il 25 febbraio scorso.
Il Senegal si trova infatti in una regione colpita da colpi di stato militari: nel vicino Mali nel 2020 e nel 2021, in Guinea nel 2021, in Burkina Faso nel 2022 e in Niger lo scorso anno.
La preoccupazione che Dakar seguisse il trend dei suoi vicini era dunque alta ma prima una decisione della Corte costituzionale senegalese e poi la pressione delle piazze lo ha fatto tornare sui suoi passi.
Con quasi il 100% dei voti scrutinati ed il 54,3% dei suffragi ottenuti quattro giorni fa, Faye è un presidente quasi per caso. In primo luogo perché si è candidato solo dopo l’incarcerazione di Ousmane Sonko, leader molto popolare specialmente tra i giovani. Ma soprattutto perché, sino a 13 giorni fa era ancora in carcere.
L’amnistia concessa dieci giorni prima del voto a Faye e a Ousmane ha permesso dunque l’ennesimo «miracolo democratico» al Senegal, Paese dove circa un terzo della popolazione è povera e che negli ultimi anni ha visto una crescente repressione del governo. Dal 2021 al 2023, infine, il Senegal è sceso di 55 posizioni fino al 104° posto nell’indice mondiale della libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere.
«Negli ultimi anni molti giornalisti sono stati arrestati. Non osavamo nemmeno impegnarci nel dibattito politico in modo adeguato, perché avevamo paura delle rappresaglie» spiega a VITA Codou Loume, giornalista e anima di una delle più note radio comunitarie del Senegal, Radio Oxyjeunes. Basata a Pikine, la più vasta città popolare del Paese, nella regione di Dakar, collabora con varie ong, anche italiane come il Cospe e l’associazione Carta di Roma, per migliorare l’informazione sui migranti. «Avevamo paura di essere censurati. Una situazione deplorevole ma, per fortuna, ora si percepisce qualcos’altro. Che i giovani sono scesi in campo, nonostante l’insicurezza a volte totale e che sono stati in grado di svolgere correttamente il loro lavoro di giornalisti durante queste elezioni».
Il voto di quest’anno è stato importante sotto vari punti di vista. Per Codou Loume «si è visto un popolo politicamente maturo, che sa prendere decisioni, un popolo che non si è fermato a dire “non voglio che il mio presidente si ricandidi per la terza volta”. È la prima volta che un presidente uscente non si candida alla rielezione». E c’era anche una donna tra i 19 candidati alle presidenziali. «È un fatto importante ma ancora c’e tantissimo lavoro da fare sulla questione femminile», dice Loume che è anche vicepresidente dell’Associazione delle donne dei media senegalesi e presidente della Rif, la rete internazionale di donne che fa parte dell’Associazione mondiale delle radio comunitarie.
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«Abbiamo fatto quello che facciamo di solito in tutte le elezioni, incoraggiando le comunità e i cittadini ad andare a registrarsi per votare, a ritirare i documenti d’identità e le tessere elettorali. E a votare domenica 24 marzo. Questa campagna di informazione, comunicazione e sensibilizzazione è stata fatta in diverse lingue, in francese, wolof, mandinka, puular, seerer, in tutte le lingue che vengono parlate all’interno della radio e usate nelle nostre comunità. Inoltre, ci siamo occupati anche della campagna elettorale, anche se ci è stato vietato di occuparci di politica. Ma non potevamo stare fermi» spiega. Il lavoro di informazione è stato arduo in queste elezioni perché anche in Senegal la disinformazione è un problema. «É molto presente nello spazio politico e mediatico senegalese» spiega a VITA Daouda Mine, il direttore del sito igfm.sn e dei supporti digitali del Groupe Futurs Médias (Gfm), la principale agenzia di notizie del paese, fondata dall’artista internazionale, Youssou Ndour. «Con l’avvento dei social network e il tasso di analfabetismo che è ancora alto, ci sono molti video condivisi, anche nelle famiglie, via Whatsapp, TikTok, ecc. e molti senegalesi non sono attrezzati per distinguere tra vero e falso».
Tuttavia alla fine anche sulla disinformazione ha avuto la meglio il desiderio di cambiamento dei senegalesi, in particolare dei giovani come spiega l’’ex ministro dell’Educazione Mamadou Ndoye, oggi coordinatore di Sursaut Citoyen. Questo movimento della società civile, composto da esperti e intellettuali per sostenere la democrazia e lo stato di diritto, ha monitorato da vicino il voto. «Finora le politiche pubbliche tendevano solo a impoverire la popolazione e a creare difficoltà alla popolazione, soprattutto ai giovani, molti di loro cosi disperati, da scegliere la via dell’emigrazione illegale, anche perdendo la loro vita come prezzo finale» racconta. «Credo che sia stato proprio questo sentimento diffuso ad essere stato espresso nelle elezioni. La gente voleva una rottura con il passato, voleva davvero un completo cambio di direzione per il Senegal. E questo spiega l’elezione al primo turno del candidato che più rappresentava la rottura».
Secondo Codou Loume, i giovani si aspettano che Faye crei posti di lavoro e un sistema sanitario che tenga conto delle loro esigenze. Ma anche una politica migratoria che attualmente il Senegal non ha. «Abbiamo bisogno di un’industria, ma dobbiamo anche permettere a quei giovani che frequentano l’università, quelli che hanno una formazione professionale, di avere un lavoro qui quando si laureano. E poi bisogna rivedere i legami diplomatici tra Paesi per permettere ai nostri ragazzi di viaggiare in pace, di andare e tornare per non incoraggiare l’immigrazione irregolare o clandestina».
E adesso dopo le promesse della campagna elettorale il banco di prova saranno i fatti. Per Daouda del Gruppo Futurs Médias (Gfm), ci sono «prospettive relativamente buone con un presidente che ha la fiducia della maggioranza per aver vinto le elezioni presidenziali al primo turno con il 54,3% dei voti» spiega. «Deve solo mettere in atto le promesse elettorali che ha fatto consacrando l’indipendenza della giustizia, rafforzando la sicurezza del Paese, promuovendo l’occupazione dei giovani che rappresentano più del 70% dei 18 milioni di senegalesi del paese e combattendo l’impunità e la corruzione. Con la scoperta del gas e del petrolio in Senegal, il cui sfruttamento inizia quest’anno, abbiamo molte speranze per un futuro prospero».
Se la priorità rimane la lotta alla disoccupazione il nuovo presidente dovrà lavorare anche su altri fronti strategici secondo Bakary Domingo Mane, analista politico e giornalista. È stato anche presidente del consiglio per l’osservazione delle regole etiche e di deontologia nei media senegalesi, e collabora con Amnesty. «Ci sono altre due priorità» spiega a VITA. «Innanzitutto la riconciliazione nazionale, perché il presidente uscente, Macky Sall, ha diviso il paese. O si stava con lui o si era contro di lui. Faye, invece, ha già detto che favorirà la riconciliazione nazionale. E poi c’è la questione della politica pubblica. Il nuovo presidente vuole avviare dialoghi e consultazioni settore per settore, per definire reali politiche pubbliche».
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Il ruolo delle ong e della comunità internazionale può essere determinante nel post voto in Senegal. Per l’ex ministro Mamadou Ndoye «trasformare un Paese è un compito molto complesso. Anche se le nuove autorità hanno la volontà di cambiare non è scontato che i cambiamenti avvengano molto rapidamente. Tuttavia, per il momento, ciò che auspichiamo sono soprattutto cambiamenti che irrobustiscano la democrazia, trasformino le istituzioni, garantiscano un buon governo e una maggiore partecipazione dei cittadini alla politica. Quindi tutti i nostri amici all’estero che vogliono realmente aiutare il Senegal devono andare nella direzione di sostenere soprattutto la partecipazione dei cittadini, affinché la democrazia si rafforzi».
Per Daouda Mine «il Senegal rimane comunque un Paese aperto e democratico, con stabilità, un popolo pacifico, istituzioni forti, un esercito solido e repubblicano, un ambiente favorevole agli investimenti. La comunità internazionale può contare sul Senegal per suonare la sua partitura nel concerto delle nazioni. E il Senegal sarà sempre aperto per una partnership win-win con tutti i Paesi che lo desiderano».
«Quello che non vogliamo è che alcuni partner internazionali prendano tutto e lascino al Senegal le briciole. Abbiamo bisogno di partner che lavorino davvero in sinergia affinché ciò che è accaduto in passato non si ripeta, perché il nostro è un Paese sovrano. La nuova squadra di governo dovrà garantire che i senegalesi vivano delle loro risorse. Il paesi ha molti partner stranieri, ma il partenariato deve essere vantaggioso per tutti», conclude Bakary Domingo Mane.
Credit foto AP Photo/Sylvain Cherkaoui
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