Giornata mondiale autismo
Sempre più persone nello spettro autistico. Perché?
I dati indicano un aumento delle diagnosi, che in Italia riguardano ormai una persona su 77. Con questo incremento, è necessario ribadirlo, i vaccini non c'entrano nulla. C'entrano invece metodologie diagnostiche più precise e alcuni fattori ambientali che possono essere correlati. Intervista a Maria Luisa Scattoni

Le persone con una diagnosi di disturbo dello spettro autistico sono sempre di più. In Italia ora abbiamo una prevalenza di uno su 77, mentre nel 2016 era uno su 89. Negli Stati Uniti i dati sono ancora più alti: il 2,8% dei bambini di otto anni si trova nello spettro. Ad avere la diagnosi sono quattro volte di più i maschi rispetto alle femmine, a livello globale. Il perché di questo aumento? Secondo Maria Luisa Scattoni, ricercatrice al Servizio di coordinamento e supporto alla ricerca dell’Istituto superiore di sanità, coordinatrice del Network Italiano per il riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro autistico – Nida e dell’Osservatorio nazionale autismo, si tratta di un fenomeno dovuto alla maggiore precisione dei criteri diagnostici e all’incremento dei fattori ambientali che concorrono ai disturbi dello spettro autistico.
A che cosa è dovuto questo aumento?
Le evidenze scientifiche hanno dimostrato chiaramente come l’affinamento delle metodologie clinico-diagnostiche abbia perfezionato l’accuratezza con cui viene eseguita la diagnosi. Per esempio, si sono ridotte le diagnosi di disabilità intellettiva, mentre sono aumentate le diagnosi di autismo con disabilità intellettiva. C’è anche un aumento delle diagnosi di autismo di livello uno (quello che precedentemente veniva definito “ad alto funzionamento”, ndr), che prima sfuggivano in età precoce e venivano diagnosticate intorno ai 30 o 40 anni, soprattutto nelle donne. Per queste ultime, infatti, c’è il fenomeno del camouflage, del cammuffamento, per cui spesso riescono a compensare e le problematiche più importanti dal punto di vista del funzionamento non compaiono fino alla maggiore età. Alla luce di questo, però, c’è sicuramente un incremento nei fattori ambientali che possono concorrere.
Per esempio?
L’aumentata età dei genitori – sia madre che padre – al momento del concepimento. Il fatto che chi nasce prima del tempo sopravvive in maniera maggiore rispetto al passato: la prematurità aumenta la probabilità di sviluppare un disturbo dello spettro autistico.
L’inquinamento ambientale può giocare un ruolo?
Ci sono delle vulnerabilità genetiche che possono predisporre all’impatto di alcuni fattori ambientali. Ci sono degli studi di correlazione che vengono fatti a livello epidemiologico in cui si dimostra, per esempio, che in California i figli di chi lavora nelle serre o in zone limitrofe alle autostrade possono avere una probabilità maggiore di essere nello spettro. Ma stiamo parlando di studi di correlazione, non di causa-effetto.
Quindi il fattore predisponente più importante è quello genetico.
Assolutamente. Una coppia che abbia già un figlio autistico ha tra il 15 e il 20% di probabilità che anche un secondo lo sia, ma bisogna calcolare che c’è anche il 40% di possibilità che il secondogenito abbia un altro disturbo del neurosviluppo. È questo il motivo per cui, già dal 2010, stiamo monitorando fratellini e sorelline di chi ha una diagnosi col network Nida.
Una coppia che ha già un figlio autistico ha tra il 15 e il 20% di probabilità che anche il secondo figlio lo sia
Cosa fare per aiutare il prima possibile i bimbi che hanno più probabilità di essere nello spettro autistico?
Quello che facciamo col network Nida è proprio monitorare i primi tre anni di vita di questi bambini e intervenire il più precocemente possibile, visto che c’è un monitoraggio costante ogni sei mesi, qualora compaiano le prime atipie comportamentali. Questo sicuramente ha un impatto anche nel limitare la sintomatologia. È ovvio che non possiamo limitare, evitare o prevenire, addirittura, l’autismo: è una condizione con cui si nasce.
E i vaccini, ribadiamolo, non c’entrano nulla.
Le evidenze sono molto conclamate: i vaccini non hanno alcun ruolo. Un’altra testimonianza abbastanza evidente è che si nasce autistici e i primi segnali compaiono già molto prima della famosa vaccinazione morbillo-parotite-rosolia, che è quella “incriminata”.
Cosa dovrebbe osservare un genitore in un bimbo piccolo per decidere se rivolgersi a un esperto?
Sicuramente vedere se c’è un ritardo nello sviluppo del linguaggio e se sono presenti alcune stereotipie motorie. Per fare un esempio, se la mamma o il papà cerca di stimolare il sorriso o la comunicazione, ma la cosa è unidirezionale o aspecifica e non sincrona, ci potrebbe essere un campanello d’allarme.
Come si spiega il fatto che ci siano più maschi che femmine diagnosticati?
Il rapporto è variabile. Se consideriamo lo spettro dell’autismo in tutti i suoi tre livelli, abbiamo un rapporto circa di una femmina ogni quattro maschi. Se andiamo ad analizzare solo il livello tre, quello con maggiore necessità di supporto, abbiamo un rapporto di uno a uno. Se però guardiamo al livello uno, in cui ci sono persone che hanno buone competenze verbali e cognitive, abbiamo un rapporto di dieci a uno. Questo è dovuto a quello che dicevamo prima: le femmine riescono a compensare a livello sociale, trascorrono molto tempo a imitare i comportamenti di donne giudicate vincenti o ben inserite. È ovvio, però, che si riesce a compensare solo fino a un certo punto: in epoca Covid, per esempio, ci sono state tantissime diagnosi. È come se la pandemia avesse svelato una problematica che c’era da tempo.
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