Ricerche

Sempre più odio quando si parla di sport

Secondo il Barometro dell'odio nello sport, realizzato nell'ambito di un progetto di cui il Centro sportivo italiano è partner, su 3,5 milioni di commenti riguardanti lo sport analizzati su Facebook e Twitter, circa un milione contengono hate speech e 200mila sono discriminatori

di Veronica Rossi

Un gruppo di pallavoliste in cerchio, al centro l'allenatore

C’è sempre più odio sui social media, quando si parla di temi sportivi. È quanto è emerso dalla ricerca del Barometro dell’odio nello sport, realizzata dal Centro Coder dell’Università di Torino nell’ambito del progetto “Odiare non è uno sport“, il cui capofila è il Centro volontari cooperazione allo sviluppo di Gorizia e di cui il Centro sportivo italiano – Csi è partner. Il rapporto, presentato oggi al Foro italico, illustra i dati raccolti monitorando per tre mesi – dal 1° ottobre del 2022 al 6 gennaio 2023 – gli account Facebook e Twitter delle cinque principali testate sportive italiane, Gazzetta dello sport, Tuttosport, Corriere dello sport, Sky sport e Sport Mediaset.

A essere analizzati 3.412.956 commenti su Facebook e 29.625 su Twitter: di questi circa un milione – poco meno di un terzo – sono stati classificati come hate speech (diviso, per questa ricerca, in quattro categorie: linguaggio volgare, aggressività verbale, aggressività fisica e discriminazione). I dati dell’odio sono in aumento rispetto al 2019, anno della prima rilevazione: su Facebook i post con più di 25 commenti che contengono hate speech sono aumentati dal 13,6% al 26,8%, mentre i post senza commenti d’odio sono scesi dal 25,7% al 15,1%. Su Twitter il 54,9% dei commenti è stato classificato come hate speech, mentre nel 2019 era il 31%. Un dato positivo è il calo della discriminazione e dell’aggressività fisica, passate rispettivamente da 7% a 6,5% e da 6% a 4,1%.

L’utilizzo dei social lascia ampio spazio a un linguaggio sicuramente al di sopra delle righe, in alcuni casi davvero pesante.

Michele Marchetti, project manager del Csi

«L’unica categoria che ha avuto un incremento è quella dell’aggressività verbale», commenta Michele Marchetti, project manager del Csi. «La discriminazione riguarda 200mila commenti, che è meno del 10% ma è comunque un dato altissimo, che va a indicare come l’utilizzo dei social lascia ampio spazio a un linguaggio sicuramente al di sopra delle righe, in alcuni casi davvero pesante. Spesso pensiamo che quello dello sport sia un mondo a parte, ma in realtà non è così, perché fa parte del contesto in cui è inserito e ne soffre i mali. Allo stesso tempo, tuttavia, può contribuire a migliorare alcune soluzioni, per chi, come noi del Centro sportivo italiano, intravede nello sport uno strumento educativo in cui promuovere – per dirla con papa Francesco – le due principali parole inclusive, che sono accoglienza e gentilezza». Per fermare l’odio, quindi, bisogna utilizzare parole d’amore.

Immagine idi una conferenza, tavolo dei relatori con cinque posti, sul muro lo stemma del Coni e uno schermo con la scritta "Barometro dell'odio nello sport"
Presentazione del Barometro dell’odio nello sport, foto fornita dal Csi

Di tutti i commenti contenenti hate speech, oltre il 95% riguarda il calcio, che è la disciplina più seguita in Italia. «La presenza di commenti d’odio anche in altri sport, come la pallavolo, ci fa comprendere che c’è un problema culturale diffuso», continua Marchetti, «e che i numeri diversi sono spiegati semplicemente dal fatto che ci sono più calciofili che pallavolofili. La frase forte, l’immagine al di sopra delle righe e il linguaggio volgare sono presenti anche nelle discipline in cui normalmente c’è un minore coinvolgimento collettivo. Questo ovviamente richiede una promozione culturale e umana da parte di tutti noi che amiamo lo sport. Si è avversari sui campi da gioco, ma con rispetto e seguendo le regole».

Mettere in luce il problema, quindi, è solo il primo passo: bisogna affrontarlo, mettendo in campo delle strategie per porvi un freno. «Come Centro sportivo italiano abbiamo già da tempo una serie di iniziative legate in particolar modo al cyberbullisrmo», spiega il project manager, «che interessa soprattutto la fascia preadolescenziale che per noi è fondamentale per fare promozione culturale e sociale. Proseguiremo quindi con questa attenzione, che riguarda in particolar modo i processi formativi dell’istruttore, degli allenatori e più in generale degli educatori sportivi. Stiamo realizzando di volta in volta dei focal point sui territori, con l’obiettivo di rendere più sicuri gli ambienti sportivi, non solo in termini di protezione dagli abusi, ma anche da ogni forma di aggressività e violenza, compresa quella verbale».

Questo significa anche insegnare agli istruttori e agli allenatori a non alzare la voce, cosa che troppo spesso viene considerata normale, anche da persone attente al valore educativo. «Vogliamo prevenire questi fenomeni, ma soprattutto promuovere una visione culturale dell’esperienza sportiva come accogliente», conclude Marchetti, «Il nostro impegno, quindi, da una parte riguarda il processo formativo, dall’altro l’adozione di policy e linee guida tese a contrastare qualsiasi forma di violenza, abuso e discorso d’odio».

In copertina, immagine fornita dal Csi

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