Welfare

Sempre più donne rinunciano al lavoro: in sei anni +5,3%

A lanciare l’allarme è il rapporto Family (Net) Work dedicato a “Lavoro domestico e welfare familiare: a rischio la tenuta del sistema”. Dal report emerge che i numeri di colf, badanti e baby-sitter sono in lenta ma costante diminuzione, come anche il numero di lavoratori disponibili, mentre si alza l’età delle badanti e raddoppia il numero delle famiglie che non se le possono permettere. Secondo l’indagine il sistema di assistenza fondato sulla multifunzionalità della famiglia e sull’offerta di nuovi lavoratori disponibili «inizia a mostrare segnali di cedimento»

di Francesco Dente

Sempre più donne sono costrette a rinunciare al lavoro per prendersi cura della casa, dei minori e degli anziani.  Tra il 2018 e il 2023, nonostante l’incremento generale dell’occupazione femminile, il numero di donne che ha scelto di non lavorare per motivi legati alla gestione della famiglia, è passato da 2,525 milioni a 2,659 con un incremento del 5,3%.

Un aumento particolarmente significativo (il 34,7% in più rispetto al 2018, pari a 219mila persone) nella fascia di età compresa tra 55 e 64 anni, la fase della vita in cui in teoria, e purtroppo anche in pratica, si sommano diverse responsabilità: i genitori anziani, i nipoti, il coniuge.

Se la famiglia scricchiola salta il sistema di assistenza

A lanciare l’allarme è il rapporto Family (Net) Work dal titolo Lavoro domestico e welfare familiare: a rischio la tenuta di sistema a cura di Assindatcolf e di Fondazione studi consulenti del lavoro.
Secondo l’indagine, realizzata su un campione di 2.015 famiglie aderenti anche a Webcolf, il sistema di assistenza fondato «sulla multifunzionalità della famiglia e sull’offerta di nuovi lavoratori disponibili a svolgere attività non più considerate dagli italiani, inizia a mostrare segnali di cedimento». E se scricchiola la famiglia, frana l’intero sistema di assistenza.

Il lavoro domestico ha perso la spinta propulsiva

I numeri di colf, badanti e baby-sitter, sebbene temporaneamente rimpolpati dalla regolarizzazione del 2020, certificano che nell’ultimo decennio c’è stata una flessione lenta e progressiva. Se si restringe lo sguardo agli ultimi due anni (2021-2023) emerge che il calo è stato particolarmente evidente. L’Istat registra meno 145mila occupati (una contrazione del 9,5%) a fronte di un mercato del lavoro che ha raggiunto invece nuovi record di partecipazione. 

Segue lo stesso andamento anche la domanda di servizi di collaborazione da parte delle famiglie. La parabola ascendente dei primi anni Duemila, quando il numero delle famiglie fruitrici è passato da 1,9 milioni del 2001 (8,8% del totale dei nuclei) a 2.600.000 (10,4%) del 2011, ha rallentato la corsa al punto che l’ultimo decennio ha visto il ritorno ai livelli di partenza. Nel 2022 sono stati 1,9 milioni i nuclei che hanno fatto ricorso ai servizi di collaborazione domestica (il 7,4% delle famiglie residenti). 

Come si spiega l’altalena dei dati? Secondo gli autori della ricerca, il calo delle nascite e la diffusione dello smart working hanno impattato sulla domanda delle famiglie specie per la prima infanzia e la cura della casa. Si registra infatti una diminuzione maggiore, sia nel numero di colf e baby sitter che nelle richieste delle famiglie. Il quadro non cambia molto se si prendono in esame i servizi dedicati all’assistenza e alla cura degli anziani. La domanda da parte delle famiglie non è in linea con la crescita del fabbisogno potenziale e la stessa dinamica dell’offerta di lavoro – nonostante cresca sotto il profilo quantitativo e qualitativo – risulta «meno vivace» rispetto al passato

Le criticità che pesano sulla tenuta del welfare familiare 

Sono tre le criticità che, se non affrontate e risolte, rischiano di provocare lo smottamento del sistema di cura familiare e della rete di collaboratori che lo tiene in vita. La Fondazione studi consulenti del lavoro e Assindatcolf puntano il dito in primo luogo contro l’elevata quota di irregolarità che ancora caratterizza il settore. Il sommerso, dopo la momentanea riduzione dovuta alla regolarizzazione del 2020, è destinato infatti a ricrescere: si stima al 54% nel 2023. 

Il “nero” nel settore lavoro domestico rappresenta il 38,3% dell’occupazione irregolare dipendente in Italia e determina un costo per la collettività stimato intorno ai 2,5 miliardi di euro annui. Una cifra che deriva dal mancato gettito contributivo di 1,5 miliardi e dall’evasione Irpef dei collaboratori calcolata in 904 milioni di euro annui. Ciò determina, si legge nello studio, non solo «disaffezione crescente verso tali tipologie di lavoro, ma anche una fragilità occupazionale che penalizza la stessa offerta di lavoro e l’evoluzione verso un modello più strutturato e professionale». Il secondo fattore critico è dato dal costo crescente dei servizi di collaborazione e dal loro impatto sui bilanci familiari, specie di chi assiste persone non autosufficienti.

Secondo l’indagine Family (Net) Work, i nuclei che si avvalgono di una badante sopportano un costo mensile superiore al 50% del reddito mensile. In non pochi casi si tratta di persone anziane sole che possono contare solo sul reddito da pensione. L’incidenza sui redditi non è meno rilevante tra le famiglie che non presentano uno specifico fabbisogno di cura: nel 42,8% dei casi supera il 15% del reddito. Costi crescenti sempre più difficili da sostenere non solo per le famiglie a basso reddito (8 su 10 li reputano semplicemente insostenibili) ma anche per il ceto medio: le famiglie che hanno difficoltà a sostenere tali spese sono salite dal 27,9% del gennaio 2023 al 55,2% del luglio 2024. 

Meno collaboratori domestici e sempre più anziani

Non va sottovalutata nemmeno la riduzione della stessa offerta di lavoro, un tempo ampia. Basta considerare, a riprova, due dati. Le famiglie denunciano difficoltà nel reclutare la persona giusta per il tipo di lavoro da svolgere (per l’68,7% è l’aspetto più problematico nel rapporto di lavoro domestico) ma anche nel trovare figure disponibili (21,5%). Cosa rivelano questi numeri? Secondo l’indagine, all’origine ci sarebbero i cambiamenti del mercato del lavoro: la possibilità di offrire posizioni più interessanti agli stranieri alla ricerca di un primo impiego, l’evoluzione dei processi di integrazione professionale di chi arriva da Paesi terzi, la riduzione dei flussi in ingresso in Italia. Mutamenti che producono, a cascata, difficoltà nel ricambio generazionale necessario a garantire la sostenibilità stessa del modello. 

Mentre nel 2014, su 100 badanti, 24 avevano meno di 40 anni e 12 più di 60 anni, nel 2023, la quota di under 40 si è dimezzata (14,2%). Raddoppiata invece quella over 60 (29,1%). La carenza di risorse economiche e professionali finisce così per favorire una ridefinizione delle strategie familiari.
Cresce infatti l’utilizzo delle residenze per gli anziani: gli over 65 assistiti nelle Rsa sono aumentati da 296.183 del 2017 a 362.249 nel 2022 con un incremento del 22,3%. Chi non se lo può permettere è costretto a lasciare il posto di lavoro e a diventare care giver. Ben 2,6 milioni di donne, come visto.

Tutte le slide sono tratte dal Report di Family (Net) Work – In apertura photo by Tanya Chuvpylova on Unsplash

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