Formazione
Sempre di più, ma invisibili
Censis: per 9 su 10 disabili accettati solo a parole. E intanto Fish e Fand di nuovo sul piede di guerra...
di Redazione
La disabilità fa ancora paura. Sono 4,1 milioni le persone disabili che vivono in Italia, secondo le stime del Censis, pari al 6,7% della popolazione. Le persone disabili suscitano in gran parte degli italiani sentimenti positivi, come la solidarietà (per il 91,3%), l’ammirazione per la forza di volontà e la determinazione che comunicano (85,9%), il desiderio di rendersi utili (82,7%). La metà (50,8%) afferma di provare tranquillità, di fronte a una situazione ritenuta «normale». Ma sono diffusi anche sentimenti controversi, imbarazzo e disagio. Il 54,6% degli italiani prova paura, per l’eventualità di potersi trovare un giorno a dover sperimentare la disabilità in prima persona o nella propria famiglia. Poi c’è il timore di poter involontariamente offendere o ferire la persona disabile con parole e comportamenti inopportuni (34,6%). Il 14,2% degli italiani afferma di provare indifferenza, perché il problema della disabilità non li tocca minimamente.
È quanto emerge da una ricerca del Censis sulla percezione e la stima del peso sociale delle disabilità nella società italiana, realizzata nell’ambito del progetto pluriennale «Centralità della persona e della famiglia nei sistemi sanitari: realtà o obiettivo da raggiungere?» avviato dalla Fondazione Cesare Serono.
Con sentimenti che oscillano tra la partecipazione umana e la paura, costruire una relazione con le persone disabili è difficile. Due terzi degli intervistati (66%) ritengono che le persone con disabilità intellettiva sono accettate solo a parole dalla società, ma nei fatti vengono spesso emarginate. Quasi un quarto del campione (23,3%) ha un’opinione ancora più negativa, ritenendo che non c’è nessuna accettazione sociale, perché la disabilità mentale fa paura e queste persone si ritrovano quasi sempre discriminate e sole. Solo il 10,7% degli intervistati ritiene che invece sono accettate pienamente e che nei loro confronti c’è disponibilità all’aiuto e al sostegno.
Una percezione sociale ancora lacunosa e distorta. Le disabilità sono un tema ancora troppo poco presente nell’agenda istituzionale, mentre gravano drammaticamente sulle famiglie, spesso lasciate sole nella cura delle persone disabili. Nel nostro Paese la percezione sociale della disabilità rimane lacunosa e distorta. C’è una disabilità che si vede e una invisibile. La maggioranza degli italiani ha una immagine della disabilità esclusivamente in termini di limitazione del movimento (62,9%), il 15,9% pensa a una disabilità intellettiva (il ritardo mentale o la demenza), il 2,9% a una disabilità sensoriale (sordità o cecità), mentre il 18,4% associa il concetto a un deficit plurimo, ossia alla combinazione di due o più disabilità.
Il 68,7% degli intervistati associa la disabilità alle conseguenze di un incidente, il 14,2% la riconduce a una malattia congenita, mentre l’ipotesi di una malattia neurologica contratta in età adulta viene citata dall’11,1%. Sebbene gli incidenti rappresentino una causa frequente di disabilità, il fatto che solo un italiano su dieci pensa a patologie neurologiche (come la sclerosi multipla, l’ictus o la malattia di Parkinson), che invece hanno un peso rilevante nel determinare la disabilità nelle fasce d’età giovanili e adulte, è sintomatico di una percezione riduttiva e deformata.
Resistono i falsi miti e i luoghi comuni. Ma quanto è diffusa tra gli italiani la corretta conoscenza di alcune specifiche forme di disabilità? L’82,9% del campione afferma di conoscere la sindrome di Down, segue la malattia di Parkinson (66,5%) e la sclerosi multipla (64,9%), mentre il livello più basso di conoscenza si rileva a proposito dell’autismo (noto solo al 59,9% del campione). Ma anche tra chi afferma di sapere di cosa si tratta, le informazioni appaiono generiche e superficiali. E le convinzioni errate sembrano essersi sedimentate, all’interno di una sorta di rumore di fondo informativo, come effetto di una comunicazione mediatica che sul tema è spesso confusa e sensazionalistica.
Tra quanti affermano di conoscere la sindrome di Down, il 55,7% è convinto che nella maggior parte dei casi le persone che ne sono affette muoiano giovani, che non superino i 40 anni di età, quando in realtà l’aspettativa di vita media per queste persone è oggi superiore ai 60 anni. E appare molto diffuso il luogo comune secondo il quale le persone Down si assomigliano tutte tra loro, sia esteticamente che come carattere, considerato vero da 2 su 3 (il 66%, e il dato raggiunge il 75,6% tra i soggetti meno scolarizzati e rimane comunque maggioritario anche tra i laureati, che lo ritengono vero nel 60,5% dei casi).
Per quanto riguarda la malattia di Parkinson, il 93,2% di quanti affermano di conoscerla sa che causa una serie di disturbi e difficoltà del movimento, ma quasi 2 su 3 (il 61%) la confondono con la malattia di Alzheimer, essendo convinti che i primi sintomi del Parkinson siano le perdite di memoria e il disorientamento nel tempo e nello spazio.
Per quanto riguarda la sclerosi multipla, se in effetti l’87,6% di chi afferma di conoscerla sa che è una malattia che colpisce il sistema nervoso centrale, il 62,7% pensa però che le persone che ne sono colpite perdano rapidamente la mobilità e finiscano presto sulla sedia a rotelle. Il 74,6% ha l’errata convinzione che abbiano un’aspettativa di vita molto inferiore alla media e il 60,7% pensa che con la sclerosi multipla non sia possibile vivere una vita normale.
A proposito dell’autismo, il 90,8% di quanti affermano di conoscerlo crede correttamente che le persone che ne sono affette soffrono di gravi difficoltà nel comunicare e stabilire relazioni con gli altri, ma è duro a morire il luogo comune circa la presunta genialità di queste persone nella matematica, nella musica o nell’arte, che è condiviso da quasi 3 su 4 (il 73%).
I disabili verso una nuova mobilitazione?
Nel luglio scorso FAND e FISH furono le protagoniste di una riuscita mobilitazione in difesa dei diritti delle persone con disabilità.
In occasione della discussione del Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78 il Parlamento bocciò, anche grazie dall’azione delle due Federazioni, le proposte di restrizione dei criteri per la concessione dell’indennità di accompagnamento. Incidendo sulla definizione delle capacità deambulatorie e di svolgere gli atti quotidiani della vita, quelle modifiche avrebbero causato una grave riduzione degli aiuti a favore delle persone disabili gravi.
A distanza di tre mesi dalla conversione di quel decreto legge, l’INPS ha emanato le “Linee Guida operative per l’invalidità civile” a cui dovrebbero attenersi i medici dell’INPS nell’esame delle nuove domande di invalidità. Queste indicazioni di fatto riprendono – in via amministrativa – i tentativi, che si speravano scongiurati, di restringere i criteri di concessione dell’indennità di accompagnamento. Le Linee Guida intervengono limitando il concetto di autonomia nella deambulazione e la definizione di atti quotidiani della vita.
Contemporaneamente, con note interne, l’INPS caldeggia l’esecuzione di routine delle doppie visite di controllo, anche quando la Commissione ASL (all’interno della quale comunque c’è un medico nominato dall’INPS) si sia espressa in modo unanime. Oltre allo spreco di risorse pubbliche, questo creerà notevoli disagi a molti cittadini con disabilità.
FAND e FISH in queste settimane hanno promosso una sensibilizzazione presso i Parlamentari più attenti e questa azione ha provocato la presentazione – sia alla Camera che al Senato – di alcune interrogazioni ai Ministri competenti.
E ieri le due Federazioni hanno formalizzato la loro segnalazione, al Ministro Sacconi e al Ministro Tremonti, insistendo per un intervento a tutela dei diritti civili dei veri invalidi. Alla comunicazione è stato aggiunto quale destinatario il Ministro Brunetta, visti gli evidenti sprechi che le nuove procedure amministrative causano.
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