Se serve una data per dire che la crisi è arrivata anche per l’impresa sociale e il terzo settore si potrebbe indicare questa: primo semestre 2011. La crisi c’era anche prima ma era meno evidente grazie all’effetto di alcuni “ammortizzatori” tipici di questi soggetti: il carattere anticiclico della produzione (nella crisi serve più welfare) e la loro maggiore capacità di adattamento, contando su flessibilità organizzativa e pluralità delle forme di adesione. Ora però l’effetto di questi ammortizzatori sembra essersi indebolito, sia per la minore disponibilità di risorse pubbliche per il welfare, sia per l’eccesso di stress organizzativo. Risultato: mentre per le imprese for profit – per quelle che ce l’hanno fatta – il peggio sembra essere passato (anche se non si sa fino a quando), per imprese sociali e terzo settore la crisi arriva come un’onda lunga. Non che una data risolva tutto, anzi. Ma rende visibile un fenomeno e soprattutto consente di puntare i fari dell’osservazione e quindi di calibrare meglio le misure di contrasto. Lo hanno capito, prima di tutti, le imprese sociali di base, come la cooperativa Solidarietà di Padova che con la Fondazione Nord Est ha promosso un’interessante indagine congiunturale su un campione di oltre duecento cooperative sociali di tipo B venete. E lo hanno capito, quasi agli antipodi, i francesi del settore dell’economia sociale, identificando proprio tra il quarto trimestre 2010 e il fatidico, primo del 2011 il punto d’impatto della crisi. Crisi che, sia al di qua che al di là delle alpi, tocca non solo i parametri economici, ma anche l’indicatore che più da vicino misura la capacità di tenuta delle organizzazioni dell’economia sociale, ovvero l’occupazione. Il Veneto, come spesso succede, parla chiaro: guardando a dati di fatturato e ordinativi il consuntivo 2010 delle cooperative sociali è positivo e, tutto sommato, in linea con quello delle imprese for profit venete e del nord est, mentre invece l’occupazione è in crescita (+ 5,9%) contro un segno negativo (-7,4%) delle for profit. Nel 2011, invece, il quadro delle cooperative sociali si fa a tinte fosche: diminuiscono, seppur di poco, fatturato e ordinativi che invece crescono nelle imprese for profit, e diminuisce pesantemente l’occupazione attesa a – 7,4%. Brutto segnale quindi, soprattutto per imprese che nella loro missione dichiarano di voler creare occupazione, in particolare per persone svantaggiate. Sembra proprio una resa alla crisi, una specie di Caporetto non solo e non tanto di un comparto imprenditoriale, ma di un vero e proprio pilastro del welfare. Stando in metafora e pure nel territorio di svolgimento dell’indagine si potrebbe sostenere la necessità di tracciare una nuova “linea del Piave”. Ci vuole però un nuovo approccio, un nuovo modello di resilienza: nuove forme di adattabilità al contesto e capacità di autoriparazione affinché l’ecosistema delle cooperative sociali esca dalla crisi rafforzato e non, come sta succedendo al nostro Paese, con le stesse debolezze strutturali. Su questo punto l’indagine non fornisce un gran valore aggiunto. Indica i titoli di possibili ambiti di azione, peraltro già ben conosciuti: rafforzare gli elementi di peculiarità della governance cooperativa, allargare e inspessire i legami di rete, incrementare le dimensioni aziendali, diversificare i clienti e così via. Manca invece un riferimento alla diversificazione delle risorse, non solo guardando alla forma pubblica o privata del cliente, ma alla natura delle risorse stesse (non economiche, donative, ecc.). Sono limiti figli di un approccio all’indagine centrato sulla dimensione laborista e di servizio, con poca attenzione al carattere comunitario di queste imprese e al fatto che, anche questo aspetto, possa essere considerato un utile asset imprenditoriale, pure in tempi di crisi. In ogni caso si tratta di un’indagine interessante perché tempestiva e ricca di stimoli e che andrebbe corredata con una casistica di “nuova resilienza”: ad esempio sistemi di secondo welfare basati sull’innovazione dei network e dei sistemi di governance. Casi che non non mancano, anche in Veneto.
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