Famiglia

Sei figli per due famiglie.

Quando ce l’hanno proposto abbiamo accettato senza pensarci su troppo e senza calcolare le conseguenze. Li abbiamo accolti come fossero nostri e ricominciato con loro una nuova vita.

di Gabriella Contu

«Q uello che stiamo cercando è una coppia disposta a prendersi cura di sei ragazzi con problemi psichici. Vivere con loro, dargli una famiglia». Don Giuseppe Pozzi, dell?Istituto S. Antonio di Cassago Brianza, è semplice e chiaro. I sei ?ragazzi? vanno dai 26 ai 38 anni, ma il loro stadio, a livello psichico è da adolescenti. «Sono persone adulte tranquille, più che di essere seguiti hanno bisogno di colmare un vuoto affettivo. Sono senza famiglia, senza storia», continua don Giuseppe», «di alcuni di loro non si sa neanche dove abbiano abitato». I ragazzi fanno capo alla ?Casa di Gino?, un?azienda agricola che dà lavoro e ospita una trentina di disabili. Loro sei sono stati scelti per un? esperienza di casa famiglia. Ma trovare una coppia che decida di assumersi questo impegno non è semplice, eppure qualcuno quest?esperienza l?ha già fatta, proprio con questi ragazzi, riuscendo a portarla avanti per sei anni. Augusta e Gianni cambiano casa È il 4 gennaio ?91 quando Augusta e Gianni Quaini, insieme ai due figli allora di 14 e 12 anni, chiudono la porta di casa per trasferirsi nella dependance dell?Istituto San Giuseppe di Anzano del Parco, in quel periodo residenza dei sei ragazzi. «Da anni facevamo volontariato in questa casa famiglia ad Anzano», dice Augusta. «Io aiutavo a pulire e mio marito a fare le docce ai ragazzi. Nel gruppo di volontari si parlava spesso di famiglie aperte, noi sentivamo di voler provare e quando ce l?hanno proposto ci siamo buttati. Non avevamo paura: eravamo alla ricerca di questa esperienza, così non ci abbiamo pensato. Se ci avessimo riflettuto forse ci saremmo spaventati». Gianni fa il camionista, di giorno è fuori per lavoro. I figli vanno a scuola mentre Antonio, Vincenzo, Meo, Massimo, Gianni e Corrado continuano a lavorare alla ?Casa di Gino?. In casa resta Augusta, aiutata dai volontari divisi in gruppi: i giovani organizzano qualche serata e i momenti di festa, le signore più anziane aiutano a cucire e stirare e qualcuno si presenta una volta la settimana per le pulizie. La famiglia Quaini riesce ad aprirsi accogliendo in sé i sei ragazzi. «Bisognava avere mille occhi e attenzione per tutti, a quello che non si è fatto la barba, all?altro che se ne è fatta solo metà, a chi si metteva i sandali mentre fuori pioveva», racconta Augusta. «A volte c?era della stanchezza ma anche tanta allegria, perché questi ragazzi portano allegria. Si è instaurato un rapporto familiare, mio marito lo chiamano ancora papà. Sono grandi, è vero, ma bambini di mente. La difficoltà maggiore è stata trovare dei tempi nostri, per noi quattro, il nucleo era sì allargato, ma era un nucleo da preservare, da non perdere di vista. Però anche i miei figli hanno dimostrato maturità, vivendo bene l?esperienza. La figura più difficile da accettare, per i ragazzi, è stata probabilmente quella femminile, la mia, perché sono cresciuti in un ambiente maschile, seguiti sempre dai preti». Per mantenere vivo il dialogo tra i genitori e i due figli si sperimentano piccoli trucchi: aspettare la sera per riuscire a parlare, a confrontarsi, rinunciando a molte ore di sonno, oppure organizzarsi con i volontari per avere liberi un fine settimana al mese e dieci giorni all?anno. Intanto anche i genitori di Gianni e Augusta vengono coinvolti nell?esperimento. Inizialmente pieni di dubbi e impauriti dall?handicap dei ragazzi, i loro genitori imparano a conoscerli e finiscono per diventare nonni a tutti gli effetti, così come la sorella di lei è promossa al rango di zia. Sono anni lunghi, intensi, ricchi di cambiamenti per tutti. Prima di tutto per i sei ragazzi, fino a quel momento privi di una qualsiasi esperienza familiare, abituati alla vita degli istituti. «Hanno imparato a sentire come loro la casa, gli ambienti », racconta Augusta, «se, per esempio, in Istituto ognuno ha il suo armadio chiuso con il lucchetto, qui hanno imparato a fidarsi, a vedere nei volontari degli amici. Hanno capito che la casa ha dei costi, il riscaldamento, la spesa, le scarpe. Hanno sperimentato la vita con il senso della normalità che in un Istituto, nonostante tutto l?impegno, non si riesce a dare. Per loro è stato importante avere un punto di riferimento, imparare a parlare se si ha un problema, non chiudersi». Il cambiamento si vede per esempio in Antonio che passa il primo Natale in casa Quaini piangendo perché senza genitori da andare a trovare, ma che l?anno dopo festeggia contento, esprimendo la gioia di avere intorno a sé, finalmente, una famiglia. «Sentirsi parte di qualcosa», dice Augusta, «non essere più i ragazzi dell?Istituto, ma i ragazzi della casa famiglia, è diverso e importante. Tutti loro hanno dietro le spalle una storia travagliata, una storia di non-famiglia. Sicuramente, però, sono molto legati tra di loro. Due sono insieme da quando avevano tre anni e, insieme, hanno anche sperimentato diversi Istituti. Sono uniti, come se fossero sei fratelli». Alla fine sono stati loro i nostri maestri Ma quest?esperienza non ha lasciato immutati neanche Agusta e Gianni. «Ci hanno cambiato tantissimo, regalandoci una maggiore apertura mentale verso gli altri. Casa nostra era sempre aperta, a qualsiasi ora, il via vai dei volontari era continuo. Ci siamo trovati a essere più uniti anche come famiglia. Ogni decisione era discussa insieme, i nostri figli sempre partecipi. Abbiamo imparato molto: capire che eravamo amati da questi ragazzi, capire che non sei più il volontario che aiuta, ma la persona che in qualche modo viene aiutata… Non so se riesco a spiegarmi, perché uno le cose dentro le sente, poi magari non riesce a esprimerle a parole». Iniziata nel ?91 come esperienza di tre anni, da rinnovarsi poi di anno in anno, questa bella avventura si è conclusa l?anno scorso. La causa va cercata in una stanchezza, anche fisica, che andava crescendo, nella paura di arrivare al crollo, nel bisogno di tornare a una situazione di normalità. Per i sei ragazzi non è stato facile, eppure hanno capito che in questa scelta non c?era un rifiuto nei loro confronti né la voglia di abbandonarli. Gianni e Augusta continuano a fare i volontari nella nuova casa famiglia che li ospita, a Cassago Brianza dove sono seguiti da un educatore e dai preti dell?Opera Don Guanella. «Quando mio marito li vede gli sorridono gli occhi e mentre scherza con loro si trasforma anche lui in un bimbo. E ci chiamano sempre papà e mamma. Non averli più qui ti lascia comunque un vuoto. Nelle cose di tutti i giorni, se qualcuno fa una battuta, pensiamo sempre a come avrebbero reagito i ragazzi, cosa avrebbero fatto. È una cosa che ci portiamo dentro tutti e quattro». Ora don Giuseppe Pozzi cerca una nuova coppia che si prenda cura di loro, disposta a trasferirsi nella casa famiglia di Cassago. A differenza della prima esperienza, oltre ai volontari ora ci sarebbe anche l?aiuto di un educatore. A questo proposito Augusta non ha dubbi: «Se c?è qualcuno che sente dentro di voler fare questa esperienza ci si butti e la faccia senza pensarci tante volte, perché arricchisce. I ragazzi aiutano, sono loro che ti insegnano quello che serve».


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