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segnaletica per il darfur
creatività Scoperte e sorprese alla Biennale di Social design di Utrecht
di Redazione
da Utrecht, Paesi Bassi
Ricordo un sole di piombo, tanta polvere e l’incapacità di orientarmi in quello che all’epoca era stato definito dai media internazionali come il più grande campo profughi del mondo. Darfur, novembre 2006. Il Kalma Camp assomiglia a una bidonville africana ricoperta a dismisura da tende di plastica formato Unhcr, tutte di color bianco e immediatamente riconoscibili dall’immancabile logo dell’agenzia Onu per i rifugiati. Il campo accoglie oltre 200mila profughi. Nessuno, o quasi, parla l’inglese. Assieme all’uniformità delle strade, la barriera linguistica mi toglie qualsiasi punto di riferimento a cui aggrapparmi per ritrovare il Meeting Point, il centro di informazione delle organizzazioni internazionali presenti nel campo profugo. Passano una quindicina di minuti. Cresce l’inquietudine finché l’incontro casuale con un operatore umanitario mi consente di tornare al centro. Al sicuro.
Non avrei avuto tutti questi problemi se Gert Dumbar, geniale designer olandese, avesse escogitato dieci anni prima l’idea di rivoluzionare la comunicazione nel mondo umanitario. L’idea, sfacciatamente semplice, è racchiusa in pittogrammi metallici di 50 centimetri per 30. Il mio sguardo ne osserva una sessantina, uno più incredibile dell’altro. Tutti ordinatamente disposti in tre corridoi che accolgono una mostra sorprendente: A Safe Place, situata al secondo piano della Biennale del design sociale di Utrecht.
Passa e ripassa, il mio sguardo è continuamente attratto da un quadrettino blu in cui quattro frecce bianche puntano dritto su un punto del medesimo colore. Sotto, una scritta: Meeting Point. «I pittogrammi hanno questa straordinaria facoltà di proporre disegni estremamente semplici che consentono a qualsiasi persona, indipendentemente dalla sua lingua, di orientarsi in qualsiasi luogo essa si trovi». Per il curatore della mostra, Gert Dumbar, l’idea secondo la quale oggi, in tutto il mondo, i pittogrammi delle toilette consentono a un uomo e a una donna di intuire al volo, senza dover pensarci su due volte, verso quale delle due deve optare per fare i suoi bisogni, può essere applicata benissimo alle aree devastate da crisi ecologiche e umanitarie. Una rivoluzione che pone al centro della sua attenzione la comunicazione visuale.
I padri spirituali di Dumbar stanno al piano inferiore della Biennale. Circa un secolo fa, l’incontro tra il sociologo Otto Neurath e il graphic designer Gerd Arntz segna la nascita ai primi pittogrammi (ne produrranno quattromila) consentendo l’affermarsi di un motto mai superato tra i designer: «Le parole (che non tutti leggono) dividono, mentre le immagini (che sono alla portata di tutti) uniscono».
Non a caso, Lovely language: Words divide, images unite è il titolo della mostra dedicata alla coppia Neurath-Arntz. Entrambi erano convinti che in un mondo capovolto dalla rivoluzione industriale, i nuovi mezzi di trasporto (treno, auto) e di comunicazione (stampa, radio) avrebbero accelerato di colpo l’incontro tra popoli di culture diverse. «Ma altrettanto forte era la convinzione di veder crescere le incomprensioni», sottolinea a Vita Gert Dumbar. Cento anni dopo, Dumbar non fa altro che adattare i pittogrammi di Neurath e Arntz alle necessità di popolazioni spesso afflitte da catastrofi ambientali e umanitarie.
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