Lavoro

Seghezzi (presidente Adapt): le cooperative valorizzino l’orgoglio del lavoro sociale, non imitino le aziende

Il presidente di Fondazione Adapt, fondata da Marco Biagi, dialoga con VITA sul lavoro sociale, lavoro povero, salario minimo e legge di bilancio 2024. Di fronte al rischio che “il lavoro sociale diventi il nuovo sottoproletariato” (di cui c’eravamo occupati), l’esperto dice: «il mondo cooperativo debba essere orgoglioso di quello che è, dei suoi valori, del suo modello organizzativo, non cadendo nella tentazione di pensarsi attrattiva imitando le imprese tradizionali, i loro modelli e le loro strutture»

di Sabina Pignataro

Ogni Governo prova a fare una riforma del lavoro. Quello attuale non è da meno. Tiene bando il tema del salario minimo a 9 euro lordi all’ora che sta seguendo un percorso tortuoso. In questi giorni si parla di lavoro anche in merito alle novità contenute della legge di bilancio (qui un approfondimento).
VITA ne ha parlato con Francesco Seghezzi, Ppesidente di Fondazione Adapt, fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere, in una ottica internazionale e comparata, studi e ricerche di lavoro. La prima riflessione riguarda però proprio il lavoro sociale.

Professor Seghezzi, iniziamo parlando di lavoro povero: molti dicono che oggi c’è il problema della mancanza di reperimento di nuove «vocazioni», sembra che il lavoro sociale – in particolare quello di cura – sia diventato sempre meno attrattivo.  Per molti soci lavoratori delle cooperative diventa paradossale operare per delle persone che vivono in situazioni di disagio e di disuguaglianza e allo stesso tempo ritrovarsi in una condizione di difficoltà a gestire il proprio management familiare e la propria organizzazione di vita. Non possiamo accettare supinamente che il lavoro sociale diventi il nuovo sottoproletariato. (su Vita ne abbiamo scritto qui ). Lei cosa ne pensa?

Penso che questo sia uno dei temi che dovrebbero ricoprire un ruolo centrale all’interno del dibattito pubblico, il discorso vale sia per il lavoro di cura nel mondo cooperativo sia per il lavoro di cura in generale, a partire dalle professioni mediche e sanitarie. Occorre in primo luogo ridare dignità a questo lavoro, eliminando le condizioni di svantaggio rispetto ad altri lavori. Penso poi che il mondo cooperativo debba essere orgoglioso di quello che è, dei suoi valori, del suo modello organizzativo, non cadendo nella tentazione di pensarsi attrattiva imitando le imprese tradizionali, i loro modelli e le loro strutture. Credo infatti che in un mondo in cui soprattutto i giovani, o almeno una parte di loro, cerca una dimensione di senso (per sé e per il mondo) nel proprio lavoro la rivendicazione orgogliosa e sicura del mondo cooperativo di quello che è, e quello che è stato per il Paese, possa comunicare una dimensione e un insieme di valori che sono molto più ricercati (magari inconsapevolmente) di quanto pensiamo. 

A proposito di salario minimo: l’assemblea del Cnel non ha approvato la proposta presentata dai cinque esperti, tra quelli nominati dal presidente della Repubblica, sulla sperimentazione del salario minimo. Brunetta ha consegnato alla premier Giorgia Meloni il documento finale sul lavoro povero, che suggerisce l’adozione di un piano di azione nazionale a sostegno della contrattazione collettiva.  E in virtù del parere del Cnel, la maggioranza ha chiesto e ottenuto alla Camera un nuovo rinvio in commissione della proposta di legge delle opposizioni sul salario minimo a 9 euro lordi all’ora per ulteriori approfondimenti.
Qual è la sua opinione?

Quale fosse l’opinione del governo sul tema del salario minimo era risaputa perché più volte dichiarata da Giorgia Meloni. Dopo il parere del Cnel mi pare che gli spazi siano ancora più ristretti per una misura del genere, almeno con questa maggioranza. Ora occorrerebbe andare oltre le polemiche e tutti, a partire dal governo e dalle parti sociali, dovrebbero provare a mettere in pratica le proposte del Cnel per allargare la copertura della contrattazione collettiva, combattere i contratti pirata ecc. Se le proposte non convincono ne occorrono allora, anche da parte delle parti sociali, di nuove perché continuare a pensare che l’unica battaglia sia quella del salario minimo, perché nelle circostanze attuale è chiaro che non è una strada percorribile. 

Il governo ha approvato lo schema del disegno di legge di bilancio 2024, che ora dovrà essere esaminato e approvato dal Parlamento. In merito al lavoro, il governo ha introdotto una deduzione al 120 per cento per le assunzioni a tempo indeterminato, al 130 per cento per chi assume donne con figli, lavoratori con meno di 30 anni, percettori del reddito di cittadinanza e persone con disabilità. Come valuta queste misure?

Occorrerà vedere il testo per comprendere, oltre alle prime comunicazioni, il valore e la portata degli interventi. In particolare occorrerà vedere come deve essere calcolato l’incremento occupazionale necessario per ottenere il beneficio e la cifra che verrà stanziata complessivamente. In generale la priorità oggi mi pare duplice, da un lato la crescita quantitativa dell’occupazione, che pur ai livelli più alti di sempre continua ad essere bassa rispetto alla media europea, dall’altro la crescita della qualità del lavoro. In entrambi i casi occorre muoversi non solo con una incentivazione alle imprese per le assunzioni ma con incentivi che aiutino le imprese a innovarsi e crescere, per poter creare lavoro e lavoro di qualità.  

C’erano altri strumenti che lei avrebbe ritenuto più significativi?

Ci sono una serie di capitoli che riguardano il lavoro, soprattutto dei giovani, che meriterebbero interventi a partire dal continuo scontro tra tirocini extra-curriculari e apprendistato, potenziando e rinnovando l’integrazione tra formazione e lavoro, indebolita dall’introduzione dei Percorsi Trasversali per le Competenze e l’Orientamento- Ptco. Ci sono poi interventi necessari per favorire il rinnovamento dei modelli organizzativi nelle imprese, spesso ancorati a principi novecenteschi e in questo modo freno e non volano di innovazione e crescita. Ma ripeto, al momento siamo solo ai titoli, occorrerà vedere il testo per capire i veri contenuti della manovra. 

Sulle pensioni, si passa da quota 103 a quota 104 (altro che addio alla legge Fornero), con incentivi a rimanere al lavoro.  A quali scenari andiamo incontro?

Le risorse sono poche e ormai questa è cosa nota, e sappiamo quanto interventi anche minimi e una tantum in materia pensionistica abbiano costi elevati e si traducano in benefici per pochi. Lo scenario futuro è quello di una età lavorativa che crescerà e quindi la sfida è quella di rendere il lavoro sostenibile anche oltre l’età che oggi consideriamo pensionabile, perché il declino demografico ce lo impone. Questo non vuol dire lavoro per tutti fino a 70 anni, ma aprire una seria riflessione su cosa sia il lavoro sostenibile, quali lavori lo siano, quali siano gli incentivi per le imprese e per i lavoratori e mettere da parte la demagogia sulle pensioni che ha caratterizzato il dibattito pubblico degli ultimi anni.

Foto in apertura, Francesco Seghezzi_ foto ufficio stampa Adapt

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